Draghi e le toghe liquidano il metodo Invitalia. I pieni poteri non frenano speculatori e ritardi

Il manager non è indagato. Ma il premier lo ha ridimensionato e l'inchiesta smonta l'idea (fallimentare) di accentrare tutto, dalle mascherine ai vaccini

Draghi e le toghe liquidano il metodo Invitalia. I pieni poteri non frenano speculatori e ritardi

«Non dobbiamo limitare le vaccinazioni in luoghi specifici, spesso ancora non pronti: usare tutte le strutture disponibili, pubbliche e private». La frase con cui Mario Draghi liquida rade al suolo le «primule» di Domenico Arcuri arriva intorno alle 11, primo argomento concreto del discorso sulla fiducia, non appena esauriti i preamboli. Intorno a mezzogiorno viene diramata la notizia che il nucleo valutario della Guardia di finanza di Roma sta eseguendo un ordine di sequestro da 70 milioni di euro legato all'inchiesta sulle mediazioni d'oro per una enorme partita di mascherine importate dalla Cina su mandato dello stesso Commissario straordinario all'emergenza. Si conferma la solita legge italica delle coincidenze per cui l'indebolimento politico coincide spesso con tempestivi infortuni giudiziari.

Non si tratta di fare dietrologia, ma solo di prendere atto che il cambio di fase politica si sta manifestando con più rapidità di quanto possa apparire. Per un anno il plenipotenziario di Conte ha esercitato un potere assoluto su un numero crescente di materie, con il piglio arrogante di chi non sopporta le critiche e le liquida con supponenza, vedi le frecciate ai «liberisti da divano», o il fastidio per le domande dei giornalisti. Ora inevitabilmente, arriva lo scrutinio su come sono stati spesi i dieci miliardi gestiti dalla struttura commissariale.

Arcuri, va detto, non è nemmeno indagato nell'inchiesta della procura di Roma e della Guardia di finanza sui guadagni d'oro dei mediatori «informali» che hanno importato dalla Cina guanti e mascherine per centinaia di milioni. Sono al vaglio i rapporti tra il giornalista Mario Benotti che si era offerto di usare i suoi contatti cinesi per procurare guanti e mascherine a miliardi e Arcuri, che in seguito ha negato questi rapporti. Per la Procura invece, Benotti ha agito «su esplicita e reiterata richiesta, orale e scritta, del Commissario all'emergenza Covid-19», ma avrebbe incassato commissioni milionarie dalle aziende che vendevano il materiale. Il colmo è che agli indagati si contesta il reato di «traffico di influenze illecite», cioè la norma anti corruzione fortemente voluta dai grillini. Ma non è questo il punto: la vera questione è politica prima che giudiziaria. Arcuri ha fortemente condizionato il mercato delle mascherine mettendo in difficoltà tante aziende italiane, con lo scopo dichiarato di rendere l'Italia autonoma dall'import cinese per settembre, e invece i carichi dall'Oriente continuano ad arrivare. E proprio Arcuri, che prometteva battaglia alle speculazioni, non si era accorto che una parte consistente dei suoi ordini passava attraverso quelli che il Gip definisce «free lance improvvisati desiderosi di speculare sull'epidemia»? Gente che «sperava nel lockdown a novembre» per «fare affari lucrosi».

Stavolta però, sia pure di un'ora, la politica è arrivata prima. Il discorso del premier non è solo un requiem per le «primule», i costosi e inutili gazebo di Arcuri. L'invito di Draghi a usare per le vaccinazioni «tutte le strutture disponibili, pubbliche e private» suona come una svolta rispetto alla gestione ipercentralizzata che vedeva Arcuri collezionare incarichi e una generale diffidenza verso il privato figlia della fede statalista su cui era costruito il patto di potere dei giallorossi.

Non si sa ancora se il governo deciderà di fare a meno di Arcuri o di sfoltire il portafoglio infinito dei suoi incarichi. Però una cosa è certa: non sarà più così centrale.

Ieri la Protezione civile ha avviato un censimento dei volontari per programmare la loro vaccinazione che appare prodromica al loro massiccio impiego nella campagna di distribuzione del siero. Ma si andrà oltre: il modello è quello dei tamponi, a lungo gestiti in modo centralizzato creando code e ritardi terminati solo quando lo Stato ha ceduto il monopolio.

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