Avvocato di diritto internazionale, con relazioni in ogni continente, Alberto Galassi è tra gli italiani più conosciuti al mondo. Siede in molti board, anche quello nel Manchester City, e non sono perché è un appassionato di calcio, milanista cromosomico. Classe 1964, modenese, sposato con Antonella Ferrari, figlia di Piero e nipote del Drake, due figli. Dal 2014 è al vertice del Gruppo Ferretti - leader mondiale dei motor yacht e delle navi da diporto con i marchi Riva, Wally, Custom Line, Ferretti Yachts, CRN, ITAMA e Pershing - chiamato dal gruppo cinese Weichai che ha rilevato la società, stritolata dai debiti, nel 2012.
Buongiorno avvocato. Da dove mi parla?
«Sono a Modena, con i miei collaboratori, a cercare di capire come produrre più barche, avendo già venduto tutta la produzione del 2022 e parte di quella del 2023».
Ci dice qualche numero?
«Un dato fresco su tutti: a settembre abbiamo raccolto ordini per 220 milioni, che ci portano nei nove mesi a quota 900. Significa che abbiamo un problema meraviglioso da risolvere».
E come si fa?
«In due modi. Prima con attenzione alla catena produttiva: anche noi abbiamo i problemi dei costi delle materie prime e dei trasporti, la carenza dei microprocessori. Dobbiamo essere bravi nella pianificazione, disposti a spendere di più e poi ad alzare i listini, che sono già stati rivisti e lo saranno ancora. Poi grazie alla visione: abbiamo ampliato per tempo la capacità produttiva dei cantieri. Con 270mila metri quadri ne abbiamo oggi il 30% in più. Per esempio abbiamo investito decine di milioni in quelli di Ancona, Forlì e La Spezia, dove produciamo le barche di 24-40 metri. Abbiamo assunto 100 persone in un anno e mezzo, ora siamo 1.600 nel mondo, 2.500 con l'indotto, e siamo ancora alla ricerca di manodopera specializzata e di talenti».
C'è un boom in alto mare?
«Ho una mia visione su questo: ritengo che il successo della nautica da diporto e di lusso dipenda dal mix di due fattori: primo, c'è molta liquidità in circolazione; secondo, una barca vanta tre requisiti: privacy, sicurezza e libertà. E la pandemia, con tutte le restrizioni che ha introdotto nelle nostre vite, ha reso la barca il luogo ideale dove stare. Di fatto è un'isola privata. E poi c'è stata una sorpresa».
Dica la novità.
«La vera sorpresa di questo boom - che è planetario perché l'86% della produzione tutta italiana è destinata all'estero, in diversi 84 paesi - è aver scoperto il valore dell'impatto emozionale, che vale dall'orologio alla seconda casetta. La pandemia ci ha insegnato che la vita è fragile e chi può permettersi di realizzare un sogno, non aspetta più, decide di volerlo subito, perché di doman non c'è certezza».
Ma se alla fine dell'intervista le ordino uno yacht oltre i 24 metri, quando me lo consegna?
«Nel 2024. Se lo prende sotto i 24 un anno prima».
Ma quanto costa una vostra nave, una media?
«Posso rispondere che se si divide il fatturato del gruppo per il numero di navi prodotte, si ottiene un valore che varia negli anni tra 3 e 3,5 milioni. Che è la media tra i 4-500mila euro dei Riva prodotti a Sarnico e gli yacht da 90 metri».
Ci dice due o tre vostri clienti famosi?
«Charles Leclrec, Elton John, Tom Hanks, David Beckham. Sono protagonisti nella musica, nel calcio, Formula 1, attori e attrici, grandi imprenditori americani e giovani asiatici».
Parliamo di un comparto per pochini. E per i super ricchi del mondo. In che misura il successo di un business così esclusivo è una buona notizia anche per le persone normali?
«Perché il settore nautico da diporto vale 5,6 miliardi di Pil del Paese ed è sbagliato vederlo come uno sfizio: noi, insieme con Sanlorenzo e Azimut-Benetti, rappresentiamo una componente strategica di export italiano. Tutto made in italy: a parte i motori, il resto è tutto italiano. Quando il governo Monti, con una scelta ideologica, scelse di tassare la nautica italiana da diporto, fu una tentata strage. Mise in ginocchio un comparto intero. Le navi sono beni mobili registrati, si spostano. Ci fu la fuga verso la Croazia o la Costa Azzura e la Corsica. E chi fugge porta via equipaggi, posto barca, personale di manutenzione, carburante. A fronte di un gettito risibile, fu una perdita enorme. Se si guarda solo agli oggetti di lusso per pochi non si vede l'industria nazionale che sta dietro, che è un vanto mondiale, e dove siamo primi al mondo per distacco».
Piero Ferrari è azionista di Ferretti con il 12%. Mentre Riva è uno sponsor della Ferrari. Un intreccio di super brand.
«L'ingegner Ferrari è molto di più di un socio. È responsabile dello sviluppo prodotto. L'ultimo decisore quando si tratta di stile. E le barche di oggi non sono paragonabili a quelle di prima. Riva, Ferretti Yachts, Custom line, Pershing aprono verso una tendenza che seguono tutti. Io non ho questo talento. Poi Riva e Ferrari sono i due marchi italiani più famosi al mondo, quelli per cui non dici ho una barca o ho un'auto. E auguro che possa a portare anche a qualcosa di più, a possibili sviluppi. Un giorno lo faremo».
L'attuale stato di grazia dell'economia italiana e del governo coincide con un periodo di successi sportivi. C'è una relazione? E il made in Italy ci guadagna?
«Non c'è mai una relazione tra un governo e un risultato sportivo. È una congiunzione astrale. E lo sport genera sempre una ricaduta di prestigio sul made in Italy. Ma ce la meritiamo. Per la prima volta ce la giochiamo in Europa e nel mondo 11 contro 11, ad armi pari con i concorrenti. Gli imprenditori italiani non chiedono altro. Ed è la prima volta che la politica ce lo permette, dopo troppi anni di pochezza dei governi rispetto alle imprese italiane. Questo governo è il primo con credibilità internazionale assoluta. Merito del presidente del Consiglio che se l'è guadagnata, e delle classi politiche che si sono unite come fratelli in armi per l'interesse comune».
Sostenibilità: si possono fare queste belle navi rispettando l'ambiente che verrà? E diventare carbon free?
«Siamo stati i primi nella nautica a fare il bilancio di sostenibilità e intendiamo continuare a migliorarci. Sui propulsivi verdi abbiamo fatto accordo con Rolls Royce/mtu, per lanciare un propulsore ibrido nel 2024. E stiamo sviluppando con Weichai sistemi a idrogeno. Lanceremo anche un modello piccolo elettrico. Dopodiché dobbiamo essere realistici: tutti vogliamo diventare carbon free. Ma a che costo? In che tempi?
Il vostro azionista è cinese: che idea si è fatta delle prossime mosse della Cina dopo la crisi Evergrande? C'è il rischio di contagio sui mercati finanziari?
«Weichai comprò Ferretti Group quando nessun cavaliere bianco lo voleva affiancare. Era pieno di debiti, oggi scesi a zero: hanno investito milioni di euro e rimborsato il 100% ai fornitori, una cosa mai successa né prima, né dopo. Questo dà l'idea di che visione industriale hanno questi signori. Sono azionisti che ci impongono di investire in ricerca e innovazione 30-35 milioni l'anno. Sempre. Anche nell'anno del covid. Significa avere una visione industriale che io non avevo mai trovato prima.
Per questo credo che vedremo la differenza tra Lehman Brothers e ed Evergrande: sarà una turbolenza, non uno tzunami. Salveranno un'azienda zombie? Forse no. Metteranno al sicuro le banche e le case per i loro cittadini? Al 100% sì».
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