«Le cose vanno fatte perché si devono fare, non per inseguire una popolarità immediata». Citando Beniamino Andreatta, il premier Mario Draghi lancia il messaggio politicamente più significativo di una intensa giornata da Bologna. E lo fa proprio nel giorno in cui i sondaggi lo certificano come il leader più popolare d'Italia, con la maggioranza dei cittadini che lo vorrebbe, in barba alla Costituzione, sia a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura che al Quirinale per tutto il prossimo settennato.
Secondo un sondaggio di Swg, diffuso ieri, il 46 per cento degli italiani ritiene Draghi il più adatto a sostituire Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Seguono, assai distanziati e pressoché a pari merito, l'ex premier Conte e Emma Bonino (29% e 26%), subito seguiti da Carlo Cottarelli e Paolo Gentiloni. Ma, nella domanda successiva, la maggioranza assoluta (54%) chiede che lo stesso Draghi rimanga capo del governo fino alla fine della legislatura. Per quel che valgono i sondaggi, insomma, gli italiani sperano che SuperMario continui a guidare il paese, in qualsiasi ruolo. C'è chi si spinge anche oltre, come il presidente della Conferenza episcopale italiana, e addita a sostegno di Draghi entità ben superiori alla pubblica opinione: «Sappiamo quanto il premier sia stimato in Europa - dice il cardinale Gualtiero Bassetti - Certamente, se la Provvidenza lo ha collocato nel posto in cui si trova, la sua esperienza, umanità e intelligenza potranno essere veramente utili: è un grande statista, non solo in Italia ma anche in Europa».
Provvidenza a parte, forse non è un caso che a ricevere tanta fiducia sia un leader che appare così poco incline all'inseguimento della facile popolarità, a differenza del suo predecessore. Ieri Draghi era a Bologna, per inaugurare l'aula della Business School dedicata a Andreatta (presenti anche suoi predecessori, nonché allievi del ministro Dc, come Prodi e Letta) e poi per partecipare alla cerimonia conclusiva del G20 «Interfaith» dedicato alla convivenza religiosa. E nel ricordare Andreatta, che dal governo «non ha esitato a prendere decisioni necessarie, anche quando impopolari», il premier sembra indicare quale, a suo parere, sia la «mission» di chi si ritrova a guidare un paese: bisogna «saper dire tanti no e pochi sì, per evitare che tutto sia travolto dalla irresponsabilità», sottolinea. Un richiamo che vale per l'Italia di oggi, chiamata a gestire gli ingenti fondi europei del Pnrr: «Abbiamo il dovere di spendere in maniera efficiente e onesta, e di avviare un percorso di riforme per rendere l'economia italiana più giusta e competitiva». Ma il richiamo del premier è rivolto anche all'Europa, e alle sfide internazionali che si trova a fronteggiare di fronte a crisi come quella dell'Afghanistan: la Ue «deve dimostrarsi all'altezza dei valori che diciamo di rappresentare», e non può «ignorare il dramma delle persone e la portata storica di questi eventi». Dobbiamo, dice Draghi, sentire tutti «un obbligo morale verso un paese in cui siamo stati per venti anni: un obbligo di aiuto umanitario, di prevenzione del terrorismo e di tutela dei diritti umani».
Occorre finalmente «essere capaci di costruire un approccio comune sul tema migratorio, e sulla distribuzione di chi chiede asilo». E solo «un'Europa più forte, dal punto di vista economico, diplomatico e militare» può garantire «un'Italia più forte».
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