Due gaffe in rapida sequenza: una sul fronte internazionale col presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoan, etichettato come «dittatore»; l'altra, in ambito nazionale, con i «giovani psicologi» inseriti - ingiustamente - fra le categorie dei «furbetti» vaccinati al posto degli anziani. «Con quale coraggio si fa una cosa simile?», si è chiesto retoricamente il premier Mario Draghi nella conferenza stampa urbi et orbi dell'altroieri, equiparando di fatto il comportamento degli psicologi italiani a quello di uno Scanzi qualsiasi. Nella sua uscita sugli psicologi «furbetti» (così come del resto su quella «dittatoriale» riferita a Erdogan), il Presidente del Consiglio deve essere stato mal consigliato o, peggio, mal informato. Ma a chiarire le cose ha provveduto subito l'Ordine nazionale degli Psicologi, di cui la dottoressa Laura Parolin è la vicepresidente.
Dottoressa Parolin, le parole di Draghi non le sono piaciute?
«Per nulla. Anche perché totalmente ingiuste».
Motivo?
«Nell'ultimo Dpcm dell'1 aprile è stato lo stesso premier a inserire gli psicologi tra le categorie degli operatori sanitari tenuti a lavorare in presenza solo dopo essersi immunizzati».
Ci faccia capire: il primo aprile Draghi invita gli psicologi a vaccinarsi per svolgere l'attività professionale, e ora vi inserisce tra la categoria dei furbetti?».
«Sembra assurdo, ma è andata proprio così».
Escludendo che il dpcm (dell'1 aprile) sia stato un pesce d'aprile, non resta che pensare a un difetto di comunicazione tra Draghi e il suo staff della comunicazione.
«Ci auguriamo che l'equivoco venga sanato, anche perché l'importanza del nostro ruolo nel contesto della crisi pandemica è sotto gli occhi di tutti».
Non a caso molti sostengono che l'attuale allarme sanitario ed economico è destinata a trasformarsi in una non meno grave emergenza psicologica.
«Sono d'accordo. Già oggi noi psicologi siamo chiamati a intervenire sui tanti casi di fragilità causati da chiusura delle scuole, lockdown, perdita del lavoro, rapporti interpersonali azzerati e tante altre situazioni a rischio».
Una problematicità trasversale, tanto per fascia anagrafica quanto per tanto classe sociale.
«È vero. Le ricadute psicologiche della tragedia che stiamo vivendo ormai da due anni non risparmia nessuno: bambini, adulti, anziani. Affettività e lavoro rappresentano i maggiori nervi scoperti».
Pensiamo ai drammi familiari di chi ha visto morire un caro in ospedale senza neppure potergli dare l'ultima carezza.
«Una condizione psicologicamente devastante: sia per chi se n'è andato, sia per chi resta».
Anche perdere il lavoro è, in un certo senso, un «lutto».
«L'ambito occupazionale fa parte della nostra sfera personale più sensibile. Senza attenti percorsi di mediazione psicologica, i pericoli sono tanti».
I
disordini di piazza degli ultimi giorni sono una spia preoccupante?«Temo di sì. Dovremmo fare prevenzione attraverso strutture di ascolto sul territorio. Ma, anche su questo fronte, il nostro Paese è molto indietro».
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