Draghi si veste da politico e vede oltre l'emergenza

Mario Draghi non ha ancora preso la parola in Senato, ma l'istantanea che lo immortala al centro dell'emiciclo di Palazzo Madama quando si apre la seduta lascia già intendere molto

Draghi si veste da politico e vede oltre l'emergenza

Mario Draghi non ha ancora preso la parola in Senato, ma l'istantanea che lo immortala al centro dell'emiciclo di Palazzo Madama quando si apre la seduta lascia già intendere molto. Sono da poco passare le dieci di mattina, alla destra del neo premier siede Giancarlo Giorgetti, a sinistra Stefano Patuanelli. Il primo ministro dello Sviluppo economico, il secondo delle Politiche forestali. Sono i cosiddetti volti buoni della Lega e del M5s. L'ex presidente della Bce li ha voluti al suo fianco, l'immagine plastica di un tecnico che non ha alcuna intenzione di tenersi lontano dalla politica. Nessun distanziamento, insomma. Neanche nella forma che, molto spesso, diventa sostanza. A differenza, per dire, di quel che fece un altro premier tecnico: l'altro Mario, ieri presente tra i banchi di Palazzo Madama. Quando il 17 novembre del 2011 Monti prese la parola in Senato per chiedere la fiducia al suo governo, infatti, al suo fianco - a marcare il terreno di quella che sarebbe poi stata una navigazione faticosissima - c'erano il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e il titolare degli Interni Annamaria Cancellieri. Il primo diplomatico, la seconda prefetto. La politica all'angolo.

Non a caso, il discorso che pronuncia Draghi - dopo essere stato così tanto in silenzio - suona infatti molto più politico di quanto ci si potesse immaginare alla vigilia. Sono pochi gli slogan e le frasi a effetto alla ricerca dell'applauso facile, è vero. E il linguaggio è asciutto, senza aggettivi pomposi né promesse irrealizzabili. In quella che è una sorta di «agenda della ricostruzione», però, il presidente del Consiglio tutto fa fuorché immaginare una gestione burocratica della macchina pubblica e limitarsi all'orizzonte dell'emergenza.

È politico quando ringrazia il suo predecessore Giuseppe Conte, nonostante la decisa inversione di rotta del nuovo governo su temi centrali come la gestione della pandemia o la collocazione internazionale dell'Italia. E lo è anche quando elenca i problemi del Paese andando oltre il contingente e prospettando riforme strutturali. Lo fa sulla scuola, sul lavoro, sulla giustizia, sull'ecologia, sui giovani, sulle donne. Ma anche sul fisco, tema sul quale è evidente il suo contributo da «tecnico» quando invoca una «riforma complessiva» perché «il sistema tributario è complesso» e non si può «cambiare una tassa alla volta». Lo fa ipotizzando una commissione di esperti, come - spiega - accade in Danimarca nel 2008 o in Italia negli anni '70 con Bruno Visentini e Cesare Cosciani.

Ma torna a vestire i panni del politico quando insiste sulla collocazione internazionale dell'Italia. Europeismo e atlantismo saranno i pilastri della sua politica. Lo dice chiaro Draghi: «Questo governo nasce nel solco dell'appartenenza del nostro Paese all'Ue, come socio fondatore, e all'Alleanza atlantica». Una collocazione netta, al punto che il premier non si preoccupa di prendere le distanze da Russia e Cina. «L'Italia - spiega - si adopererà per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa. Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo in questo e in altri paesi dove i diritti dei cittadini sono violati. Seguiamo con preoccupazione l'aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina». Insomma, una netta inversione di rotta rispetto al Conte 1 e 2.

Confermata nel passaggio contro la retorica sovranista. «Non c'è sovranità nella solitudine», dice Draghi. Che - anche questo un passaggio squisitamente politico - continua a voler stringere all'angolo Matteo Salvini. I dubbi di Palazzo Chigi - e del Colle - sono infatti sulla tenuta del leader della Lega in questo nuovo vestito europeista. A smentire chi lo ha descritto come un burocrate abituato al freddo di Bruxelles, Draghi punta a «convertire» definitivamente Salvini, così da rendergli il più difficile possibile eventuali strappi o tentazioni di elezioni anticipate.

Così, se martedì scorso il leader della Lega ha svicolato sulla questione euro rispondendo che di «irreversibile c'è solo la morte», ieri Draghi ci ha tenuto a precisare che anche «l'euro è irreversibile». È su questo - sull'Ue, sull'atlantismo e contro Mosca e il sovranismo - che ieri sera un premier molto più politico di quanto si potesse immaginare ha portato a casa anche il «sì» di Salvini.

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