Il bicchiere mezzo pieno di questo primo G20 in presenza del post Covid è certamente la presidenza italiana, con Mario Draghi a fare gli onori di casa in una Roma sì blindata ma che per due giorni diventa il fulcro della politica mondiale. Quello mezzo vuoto è invece l'impasse sul clima, con i venti Paesi più industrializzati disponibili solo a impegni generici nel documento conclusivo del summit. Così fosse, sarebbe quasi un fallimento, anche in vista della Cop26 in programma a Glasgow a novembre. Le prime bozze circolate ieri, infatti, parlano di indicazioni assolutamente vaghe, senza alcun riferimento ad «azioni immediate» e con un orizzonte temporale per il target emissioni zero che è un approssimativo «metà del secolo». Da Palazzo Chigi, in verità, fanno sapere che si tratta di «versioni preliminari» e assicurano che gli sherpa «continueranno a lavorare tutta la notte». La speranza della diplomazia italiana, infatti, è riuscire a trovare un punto di caduta che possa rendere più stringenti gli impegni sul clima. E una strada potrebbe essere quella di alzare la posta complessiva di 100 miliardi di dollari l'anno che gli Stati industrializzati avrebbero dovuto versare a quelli in via di sviluppo in base agli accordi della Cop15 di Copenhagen del 2009. Un'intesa, in realtà, tutta in salita. Soprattutto considerando che proprio ieri Russia e Cina hanno chiesto di «convocare» con «urgenza» un «vertice dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza» (quindi con anche Usa, Inghilterra e Francia, ma senza l'Italia).
Non proprio, insomma, un approccio in linea con l'appello di Draghi. Che nell'aprire il G20 di Roma ha insistito molto sul «multilateralismo» come «miglior risposta ai problemi che affrontiamo oggi». «Per molti versi - ha aggiunto - è l'unica soluzione possibile». Tra i presenti, però, l'atmosfera è cordiale e rilassata. Si coglie un filo di impaccio solo nella stretta di mano tra Draghi ed Erdogan. Uno scambio molto formale e rigido nonostante sia a favore di telecamere. Il freddo pare si sia un po' alleviato dopo il bilaterale del primo pomeriggio, incontro che serviva anche ad archiviare l'affondo dell'ex Bce che mesi fa lo definì «un dittatore» (forse anche per questo il presidente turco ieri ha portato in dono a Draghi un libro sulla sua vita). Erdogan, peraltro, sempre ieri ha rivisto anche Ursula von der Leyen. E, forse per chiudere il cosiddetto «poltrona gate», pare si sia premurato di accompagnarle la sedia prima dell'inizio del bilaterale.
Dopo la foto di famiglia - che mette insieme i leader e i medici e gli infermieri della Croce Rossa e dell'ospedale romano Spallanzani, simbolo della lotta alla pandemia - Draghi sottolinea come la tragica emergenza sanitaria si sia «trasformata in profonda crisi economica e sociale colpendo tutto il mondo». E «in questo tempo drammatico», spiega il premier, «il nazionalismo, il protezionismo e l'unilateralismo hanno rischiato di prevalere». Ecco perché «l'unica risposta possibile è quella di lavorare insieme». E ancora: «Dalla pandemia, al cambiamento climatico, a una tassazione giusta ed equa, fare tutto questo da soli, semplicemente, non è un'opzione possibile».
Se si fatica - e non poco - a trovare un'intesa sul clima, qualcosa si muove sulla minimum tax per i colossi dell'economia mondiale.
Soprattutto, viene approvato l'obiettivo messo sul tavolo dall'Oms - e rilanciato dallo stesso Draghi - di abbattere le diseguaglianze fra Paesi poveri e ricchi nella disponibilità e nella distribuzione dei vaccini contro il Covid vaccinando almeno il 70% della popolazione mondiale entro il 2022.
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