"E Calà?": l'ironia di Salvini per nascondere l'irritazione

Il leader leghista: era meglio Bocelli. In attesa del redde rationem, dispetti continui su Saviano e fondi alla Lega

"E Calà?": l'ironia di Salvini per nascondere l'irritazione

Non aveva dato peso, sulle prime, alla presenza di Lino Banfi sul palco grillino. Ma quando ha saputo che era stato invitato perché «doveva avere un incarico», il ministro Matteo Salvini non ha potuto evitare che il suo sorriso trasecolasse, sulle prime, nel sarcasmo. «Lino Banfi ambasciatore all'Unesco? Va bene... e Jerry Calà, Renato Pozzetto, Umberto Smaila? Scherzi a parte, sorridiamo, che l'Italia è così bella che chiunque la può rappresentare e difendere». Più tardi, però, l'irritazione per non essere stato avvisato prima dettava un ulteriore commento: «Mando un abbraccio a Lino Banfi. Oggi ho scoperto online che l'amico e collega Luigi Di Maio lo ha nominato all'Unesco. Per carità, sono gusti. A me piaceva molto come attore, anche se preferivo Walter Chiari, Gerry Calà, Renato Pozzetto. Se avessi dovuto scegliere io, avrei dirottato l'attenzione su Andrea Bocelli, che è apprezzato e amato in Italia e nel resto del mondo. Banfi è un amico, ma non so quanto conosciuto nel resto del mondo...». La conclusione non riusciva a sminuire il senso di un dispetto mal digerito: «Magari stasera mi guardo L'allenatore del pallone, se trovo un'oretta di spazio tra una firma e l'altra...».

Vero è che il povero «nonno Libero» non è stato nominato ambasciatore Unesco bensì, più modestamente, solo entrato in un'assemblea di consiglieri. Ma questo clima di superficiale ebbrezza declinato in dispetti, molestie e ripicche un tanto il chilo, a quattro mesi dalle Europee, rende anche palese la sensazione che, con l'approvazione delle due norme bandiera - reddito di cittadinanza e quota 100 -, sia anche suonato una specie di «rompete le righe» nel governo. In attesa di sapere come, se e quando funzioneranno le promesse, i contraenti del «patto» rivendicano ciascuno la possibilità di dire peste e corna dell'altro. Tradendo il già elevato nervosismo per l'esiziale posta in palio delle Europee: la verifica delle differenze di «peso» tra Di Maio e Salvini. In questo gennaio che prelude al peggio, perciò, abbiamo già visto il battitore libero per antonomasia, Alessandro Di Battista, attaccare ferocemente la Lega sui 49 milioni di euro da restituire allo Stato e Salvini per la sua mancanza di umanità per la questione porti. Per non dire delle polemiche di Fico sul «baciamano» a Salvini e sulla scorta a Saviano, più ovviamente quelle sull'accoglienza ai migranti. Salvini, da parte sua, ha mostrato con plastica noncuranza quanto poco condivide le battaglie grilline sul reddito e i loro giudizi sul resto. Sempre attento a rinfacciarne i passi falsi. Vedi ieri, con uno dei bersagli più classici: Virginia Raggi. L'altra sera la sindaca di Roma aveva lamentato un'«inaccettabile» assenza di sorveglianza, da parte della polizia, a una delle ex fabbriche da poco «liberate» da occupanti: la cosiddetta ex Penicillina.

Il ministro ieri è andato sul posto e, in diretta Facebook, ha documentato la sua verità: «Quello che abbiamo messo in sicurezza è ancora in sicurezza. La sindaca dovrebbe documentare quello che dice... Faccia la sua parte». Infine, un pensiero per le strade piene di buche: «Avrebbero bisogno di un Comune più presente...».

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