«In quanto anarchico, ritengo i concetti borghesi di colpevolezza o innocenza totalmente privi di significato», aveva detto Vincenzo Vecchi nel 2007 ai giudici di Genova che lo processavano per le violenze al G8 del 2001, culminate con la morte di Carlo Giuliani. Ad ogni buon conto cinque anni dopo, quando la Cassazione doveva decidere se rendere definitiva la sua condanna a tredici anni per devastazione e saccheggio, si rese tempestivamente uccel di bosco. La Cassazione confermò la condanna, Vecchi era ormai latitante e da oggi può finalmente dormire tranquillo. Merito della Francia, della sua tradizionale accoglienza verso i «rifugiati politici», terroristi compresi.
La Corte d'appello di Lione ieri ha respinto la richiesta di estradizione presentata dall'Italia per Vecchi, unico ancora latitante degli estremisti arrestati e poi scarcerati dalla Procura di Genova nell'inchiesta sui giorni di fuoco dell'agosto 2001, quando contestatori di mezzo mondo scesero nel capoluogo ligure contro il vertice del G8. In mezzo a tanta gente pacifica, i cosiddetti black block - l'ala dura degli antagonisti italiani e stranieri - presero la guida della piazza. «Vecchi era un black block», affermarono i pm di Genova nel processo. Nei video, riconoscibile grazie al casco bianco, è lui in prima fila nell'assalto alla filiale della Cassa di risparmio, devastata come simbolo dell'accumulazione capitalista, e in altre imprese dell'ala dura.
Che Vecchi, bergamasco di Calcinate, fosse in Francia lo si sapeva da tempo. Arrestato in una casa occupata a Milano, liberato e sparito prima della sentenza, era riapparso nel 2019, quando pedinando la sua donna la Digos di Milano era arrivata in un paesino della Savoia dove la coppia si era riunita per una vacanza. L'estradizione in Italia era apparsa subito difficile, i tempi si erano allungati, tre mesi dopo la giustizia francese aveva rimesso il black block italiano in libertà. Il cavillo dei giudici francesi era che il reato di devastazione non è previsto dal codice francese, ma era chiaro che dietro si muoveva la vecchia, inguaribile simpatia dei francesi verso ribelli veri o presunti. Neanche una decisione della Corte di giustizia europea, che aveva bocciato il rifiuto francese di riconsegnare Vecchi, aveva smosso la situazione.
Ieri la pratica si chiude definitivamente. Secondo i giudici di Lione, Vecchi «nonostante abbia vissuto per un periodo con falsa identità, per 13 anni ha costruito relazioni, famiglia, lavora, partecipa alle attività della comunità e questi diritti devono considerarsi da tutelare rispetto a una condanna per fatti accaduti nel lontano 2001 che pare a tutti gli effetti sproporzionata». Il fatto che la sentenza definitiva sia in realtà del 2012, e che gli undici anni successivi siano stati occupati solo dalle ricerche e dalle procedure, per i giudici transalpini poco conta: la consegna di Vecchi all'Italia «rappresenterebbe un oltraggio sproporzionato al rispetto della sua vita privata e familiare». Oggi Vecchi fa il falegname in Bretagna, e bisogna permettergli di andare avanti così.
In teoria la Procura può ricorrere, ma il Comitato di sostegno a Vecchi ha già chiesto «solennemente al Pubblico Ministero di non ricorrere in Cassazione, per porre
così fine, in modo elegante e dignitoso, a questa delirante vicenda e permettere così a Vincenzo Vecchi di trovare una vita tranquilla nel Morbihan. Tre anni e otto mesi di vessazioni giudiziarie, possono anche bastare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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