E nella coalizione si accende la mischia per aggiudicarsi i pochi seggi "sicuri"

Domani l'elenco di chi entra e chi esce. Le barricate delle regioni rosse

E nella coalizione si accende la mischia per aggiudicarsi i pochi seggi "sicuri"

Ferragosto sarà il giorno della verità: se ieri la riunione di Direzione del Pd è stata un passaggio pressochè indolore, dedicato all'approvazione unanime del programma elettorale, domani rischia di scorrere il sangue. Lo snodo cruciale della compilazione delle liste è infatti progressivamente slittato: inizialmente, il voto della Direzione sulle candidature era previsto per il 9 o 10 agosto. Poi era stata annunciata per oggi, 14 agosto. Ieri l'annuncio del segretario: sarà domani. Serve più tempo per incastrare il cubo di Rubik dei nomi e dei collegi, e si spera anche di attutire le inevitabili polemiche con la scelta di un giorno in cui le redazioni dei giornali sono chiuse e gli italiani si affollano sotto l'ombrellone.

Al Nazareno si vivono ore di fuoco: i posti «sicuri», grazie anche al famigerato taglio dei parlamentari imposto dai grillini, sono pochi. Gli appetiti da saziare, tra alleati, correnti, nomi di richiamo, ras locali e equilibri interni sono molti. E Enrico Letta, cui spetta l'ultima parola sulle candidature, ha una comprensibile urgenza: garantirsi una squadra parlamentare di fedelissimi, come è obiettivo di ogni segretario, tanto più visto che il rischio di subire un assalto post-elettorale alla leadership è concreto. Lo dimostrano le accuse interne, per ora fatte sottovoce, di volere «il repulisti» dell'ala riformista (leggi: ex renziana) del partito e l'attivismo di un potenziale antagonista come il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Non a caso ieri attaccato, neppure troppo velatamente, dal ministro Andrea Orlando: pensare ad una battaglia congressuale post-voto «sarebbe una scelta incredibile in un momento cruciale come questo. Conoscendo lo spirito di appartenenza di Bonaccini lo escluderei». Ma se l'obiettivo di Letta di sorpassare Fdi e assicurare al Pd il ruolo di «primo partito» italiano non venisse raggiunto, tra i dem si aprirebbe inevitabilmente lo scontro tra un'anima di sinistra che continua a guardare nostalgicamente ai Cinque Stelle come alleati ideali, e quella riformista che impugna l'«agenda Draghi» come mantra.

I calcoli interni prevedono un massimo di 148-150 eletti, tra Camera e Senato. Solo 32 i collegi maggioritari dati per certi. A gestire il puzzle delle candidature è il braccio destro del segretario Marco Meloni, che in questi giorni ha la fila alla porta, a cominciare dai segretari regionali (soprattutto delle regioni «rosse») che cercano di frenare i «paracadutati». Soprattutto quelli senza pedigree di sinistra, come dimostra la rivolta dei boss bolognesi, a cominciare dal sindaco, contro Pierferdinando Casini. Ma le richieste degli alleati sono tante: +Europa chiede otto posti, il Nazareno ne vuol concedere al massimo 4, con Benedetto Della Vedova e Emma Bonino (a Roma) dati per sicuri. A sinistra, Fratoianni punta al collegio sicuro di Pisa, che avrebbe dovuto andare a Letta stesso. Il Verde Bonelli preferirebbe un posto emiliano, tanto per andare sul sicuro, ma anche quelli di Leu, Speranza in testa ma anche la ex Cgil Susanna Camusso, guardano alle regioni rosse. L'economista Carlo Cottarelli sarà in Lombardia, dove dovrebbe cimentarsi anche Letta. Poi c'è il caso Di Maio, che ancora non si sa dove piazzare: «Tra pochi giorni chiarirò tutto», dice. Nel Lazio scenderà in campo come capolista Zingaretti, ma anche Marianna Madia, Matteo Orfini e la new entry Michela Di Biase, moglie del ministro Dario Franceschini.

Il quale correrà in Campania, dove sul proporzionale dovrebbe avere un posto in testa di lista anche Vincenzo Amendola, e un posto sicuro andrà ad un'altra ex leader sindacale come la cislina Anna Maria Furlan (i maligni dicono che siano stati i vertici di Cgil e Cisl a premere molto sul Nazareno per eleggere lei e Camusso, ancora stipendiate dai rispettivi sindacati). Mentre l'ex segretario dei Ds Piero Fassino rischia di restare tagliato fuori. Altre probabili vittime illustri: l'ex capogruppo Andrea Marcucci, Laura Boldrini e la cinofila Monica Cirinnà.

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