Non bastavano le tasse ambientali e le eco follie europee per mettere le mani nelle tasche dei cittadini con la scusa dell'ambiente, ora arriva anche «l'inflazione climatica» e il «costo dei danni ambientali sulla produzione» dei generi alimentari.
L'ultima novità arriva dalla Germania dove per una settimana (dal 31 luglio al 5 agosto) la catena di supermercati Penny applica su nove prodotti un sovrapprezzo per il costo di tutti i danni ambientali causati dalla produzione con aumenti fino al 94% in particolare sui generi alimentari di origine animale.
Per fare un esempio, una confezione di würstel di Vienna costa 6,01 euro invece di 3,19 euro perché sono compresi «i danni ambientali e alla salute», il prezzo della mozzarella ha subito un rincaro del 74% da 0,89 a 1,55 euro, lo yogurt alla frutta del 31%, da 1,19 euro a 1,56 euro, mentre l'aumento maggiore è del 94% per il popolare formaggio Maasdamer.
La scelta dei nuovi prezzi è calcolata in base alle stime degli esperti dell'Università di Norimberga e di Greifswald che «hanno sommato al costo di produzione dei prodotti anche quello che ritengono essere il loro effetto sull'ambiente, sul suolo, sul clima, sull'uso dell'acqua, sulla salute e sulle emissioni» come spiega la testata specialistica Fruit Book Magazine che aggiunge: «Nello specifico, per quanto riguarda il formaggio, gli scienziati hanno calcolato costi nascosti di 85 centesimi per le emissioni dannose per il clima, come metano e CO2, 76 centesimi per i danni al suolo causati dall'agricoltura intensiva e dalla produzione di mangimi, 63 centesimi per l'effetto dei pesticidi utilizzati, compreso il loro impatto sulla salute degli agricoltori, e 10 centesimi per l'inquinamento delle acque sotterranee dovuto all'uso di fertilizzanti».
Ovviamente sul sito di Penny la campagna è presentata con una finalità etica «dobbiamo anche pensare al domani e vogliamo fare qualcosa di buono per l'ambiente insieme a voi» per poi precisare: «Fai una scelta ecologica quando fai la spesa. Gli alimenti hanno un impatto sociale e ambientale, dalla produzione all'acquisto, ma non si riflettono nel prezzo al dettaglio. Se si vuole davvero porre rimedio, è necessario pagare i cosiddetti costi reali di quei prodotti».
Dietro all'iniziativa è impossibile non ravvisare un secondo fine ed è l'intento pedagogico che ben conosciamo quando si parla di ambiente. Aumentare il prezzo della carne, dei latticini e più in generale dei prodotti di derivazione animale è un modo per disincentivarne il consumo colpendo tanto gli allevatori quanto i consumatori.
Se non si dovesse riuscire imporre per legge direttive europee che tassano il consumo di determinati prodotti e ne limitano la produzione, il piano B è già pronto: basta aumentare il prezzo di vendita nella grande distribuzione per scoraggiarne l'acquisto.
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