Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, non ha mai avuto vita facile durante il suo mandato. Dopo aver sopportato le ruvide pressioni di Donald Trump affinché tagliasse i tassi («È lui il nemico numero uno, non la Cina», disse l'allora inquilino della Casa Bianca), ha poi dovuto rimboccarsi le maniche per far fronte al Covid e quindi fare i conti con l'arrampicata dell'inflazione. Ma forse mai, nei suoi sei anni di mandato, è stato così in difficoltà come ora, in un anno in cui la politica monetaria rischia di condizionare le elezioni presidenziali di novembre.
Adesso che perfino quel bradipo della Bce ha allentato il costo del denaro, Jay sta ancora sfogliando la margherita. Ha il suo bel conundrum, per dirla con il veterano Fed Alan Greenspan, nel senso che non sa ancora bene come muoversi.
È vero: dopo tre aumenti consecutivi, i prezzi al consumo in aprile hanno tirato il freno (dal 3,5 di marzo al 3,4%) attenuando i timori di un surriscaldamento persistente, ma un solo indizio non fa una prova. E anche se il dato di maggio confermasse la tendenza deflativa, i falchi di Eccles Building terranno alta la guardia.Washington è infatti preoccupata per l'andamento del mercato del lavoro, giudicato ancora troppo teso. Insomma, l'America genera troppi posti: cosa buona per la crescita economica, non altrettanto per tenere al guinzaglio il carovita. Terreno, quello dei prezzi rincarati, su cui Joe Biden si gioca buona parte delle chance per un secondo mandato.
Ma è proprio vero che il mercato del lavoro costituisce il principale ostacolo a un ammorbidimento monetario? Le ultime indicazioni arrivate dal Bureau of labour statistics (Bls) raccontano un'altra storia. E precisamente che lo scorso anno la crescita dei posti di lavoro è stata sovrastimata di almeno 730mila unità. La netta revisione al ribasso è dovuta alla forte impennata subita dalle imprese che hanno chiuso i battenti.
Questi nuovi calcoli, che contrastano con la narrazione sulla robustezza dell'economia a stelle e strisce, andranno corroborati con le correzioni finali che coprono il periodo aprile 2023-marzo 2024. Il velo su questi dati sarà alzato solo all'inizio del prossimo anno, ma a fine agosto due giorni prima del discorso di Powell a Jackson Hole il Bls darà un primo assaggio di ciò che conterrà il rapporto definitivo.
In caso di una revisione al ribasso di un milione di posti, la Fed avrebbe lo spazio - secondo gli analisti di Bloomberg - per sforbiciare i tassi in settembre. Per giustificare un allentamento, Powell aveva infatti parlato di un deterioramento inaspettato dell'occupazione. Se così fosse, ciò significherebbe che l'inflazione calava a fronte di un mercato del lavoro in indebolimento, come confermato dalla creazione in maggio di appena 152mila buste paga.
D'altronde, l'occupazione Usa pare
puntellata soprattutto dagli immigrati: dall'ottobre 2019, i nativi Usa hanno perso 1,4 milioni di posti, mentre quelli nati all'estero ne hanno guadagnati tre. Cifre che Trump sfrutterà per tornare al 1600 di Pennsylvania Avenue.
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