«Più che una scissione sembra una barzelletta». In casa renziana assistono basiti alle convulsioni e alle giravolte della minoranza Pd, che nel giro di 24 ore ha ribaltato tre volte le proprie posizioni. A sera, la scissione era nuovamente tornata all'ordine del giorno e Matteo Renzi faceva di nuovo i conti con un Pd senza più i guerriglieri della minoranza (cosa che forse non gli dispiace troppo) e con un congresso in cui rischia di restare senza competitori. A meno che non decida di scendere in campo, a rappresentare la sinistra interna, il ministro Andrea Orlando, mentre anche il «laburista» Cesare Damiano, con un intervento pacato ma critico, sembra scaldare i motori. Domani la Direzione, preso atto delle dimissioni del segretario, darà comunque avvio alle assise, che si chiuderanno il 7 o il 14 maggio.
Sabato era arrivato l'ultimatum di Rossi, Speranza ed Emiliano: o Renzi sparisce dal Pd o usciamo noi. Ieri pomeriggio, all'Assemblea nazionale del Pd, il fronte si è clamorosamente spaccato, con l'offerta di pace di Emiliano: «Matteo, mi fido di te, restiamo uniti». Panico tra i bersaniani, presi di sorpresa dalla svolta, mentre i renziani se la ridevano: «Doveva essere la giornata della scissione, invece sembra che si siano scissi gli scissionisti». Gli uomini di Emiliano intanto spiegavano che il loro leader era pronto a sfidare Renzi alle primarie.
Invece a sera, sciolta l'assemblea con Emiliano che dava il «cinque» a Renzi dicendo «ti auguro di restare segretario», è arrivato l'ennesimo dietrofront: un comunicato congiunto dei tre tenori del Teatro Vittoria, Emiliano incluso, che ritorna sulle barricate: «È Renzi che ha scelto la strada della scissione, assumendosi una responsabilità gravissima».
Le reazioni ufficiali dei renziani sono affidate a Lorenzo Guerini, che si dice «esterrefatto e amareggiato» da una presa di posizione «del tutto ingiustificata alla luce del confronto odierno. Evidentemente era una decisione già presa». Di ennesimi «strappo e giravolta in contraddizione stridente» parla Matteo Ricci. Qualche renziano azzarda una spiegazione psicanalitica: «Emiliano ha provato a fare il doppio gioco, fregando gli scissionisti, ma gli deve essere arrivata una telefonata pesante di D'Alema».
Cosa accada ora non è chiaro: dal fronte Bersani-Speranza si fa sapere che loro considerano chiusa la partita e si sentono già fuori. Dal fronte Emiliano si traccheggia: «Vediamo, aspettiamo fino alla direzione di martedì e sentiremo se Renzi fa qualche apertura alle nostre richieste sui tempi del congresso e sulla conferenza programmatica». Renzi però si è spazientito: «Ora basta con i tatticismi esasperati, è ora di occuparsi dei problemi reali del paese e non delle nostre beghe interne». Anche perché, fanno notare i suoi, «questi chiedono di rinviare il congresso a dopo le Amministrative: non esiste».
La regia della giornata dell'Assemblea nazionale del Pd era stata studiata con cura per mettere gli aspiranti scissionisti in difficoltà. Non a caso la scaletta prevedeva tra i primi gli interventi di due pezzi da novanta, Piero Fassino (ultimo segretario dei Ds) e Walter Veltroni (primo segretario del Pd) che - con discorsi applauditissimi - hanno ricordato come la sinistra vera, quella delle riforme e del governo, sta nel Pd. Ai «ricatti» degli scissionisti, nella relazione con cui si è ufficialmente dimesso da segretario del Pd, Renzi aveva concesso poco o nulla.
Piuttosto, ha chiesto loro «rispetto»: «Non si può chiedere a una persona (cioè a lui, ndr) di non candidarsi perché solo questo evita la scissione. Avete il diritto di sconfiggerci, non di eliminarci». E aggiunge: «Scissione è una delle parole peggiori, peggio c'è solo la parola ricatto».
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