SuperMario esce di scena in punta di piedi: è standing ovation

L'ultimo successo a Bruxelles sul price cap e prima di cedere il timone alla Meloni. L'emozione del saluto al picchetto d'onore e mistero sul futuro: "Chiedo a mia moglie"

SuperMario esce di scena in punta di piedi: è standing ovation

Il picchetto d'onore. Le braccia alzate al cielo, nel saluto finale. E poi il lungo applauso che sigilla il suo congedo. Forma, ma pure molta sostanza per l'addio di Draghi a Palazzo Chigi. Si può dire anche così: Draghi fa Draghi fino all'ultimo secondo. Prima l'exploit, l'ultimo giorno utile, a Bruxelles: il premier convince Scholz e porta a casa il price cap sul gas, almeno a livello di intesa politica. Ci sarà da lavorare sul piano tecnico, ma la svolta c'è.

Poi l'avvicendamento con Giorgia Meloni: nessuno strappo, non c'è spazio per personalismi, non ci sono attimi di gelo e nemmeno momenti di tensione. Anzi, SuperMario accoglie lei con garbo: «Benvenuta». Poi i due si chiudono a colloquio per circa novanta minuti. Un record.

Molto si è fatto, ma c'è molto da fare. Questo il mantra di un periodo difficile, carico di problemi e di incognite. E proprio per questo la cerimonia dà l'idea di una continuità che non si era mai vista a queste latitudini. Il premier uscente consegna alla Meloni non solo la campanella, che lei riceve compunta, ma pure le carte. I dossier in progress, le pratiche in sospeso.

Una transizione ordinata, minuziosa, consapevole della mole di problemi che aleggia sull'Italia. Non a caso al meeting partecipano i due sottosegretari alla Presidenza del consiglio: Roberto Garofoli e Alfredo Mantovano, appena insediatosi. Poche parole. I fatti. Draghi lascia il posto ad una Meloni neodraghiana, almeno sul versante dell'impegno e della dedizione.

Se pensiamo ad altre staffette, vocabolo che qui assume un senso preciso, viene da sorridere: Enrico Letta che porge la campanella a Matteo Renzi voltandosi dall'altra parte è il paradigma di un atteggiamento che per fortuna è storia passata.

Oggi prevale l'Italia e bisogna dare atto a Draghi di aver interpretato la sua uscita di scena, sempre un momento complicato, con un'umiltà degna di una standing ovation.

Lui se ne va e parte il solito gioco sul domani dell'ormai ex capo del governo. Il protagonista ironizza: «Chiederò a mia moglie». Per ora, quello che si capisce è un no ad alcuni incarichi internazionali prestigiosi che sono stati accostati al suo nome: no al Consiglio europeo, no alla Commissione, no alla Nato. Draghi è candidato, almeno virtuale, ad una selva di poltrone, naturalmente di prima fila, un po' ovunque.

Ma al momento ogni decisione pare prematura: certo a 75 anni non andrà in pensione. Farà il nonno, ma solo part time, e si prenderà tutto il tempo necessario per scegliere al meglio. Non si può neppure escludere che il suo percorso incroci ancora quello delle istituzioni repubblicane: potrebbe essere, quando sarà, il successore di Sergio Mattarella.

Chissà. E si può ipotizzare che venga acclamato senatore a vita, vista la caratura della sua figura, davvero unica nel panorama europeo. Certo, con un esecutivo così forte, almeno sulla carta, non tornerà sulla prima linea della bagarre di Palazzo. «Si vedrà», glissano dal suo staff. La sua portavoce Paola Ansuini torna alla Banca d'Italia, Super Mario si dividerà fra Roma e Città della Pieve, dove ha trascorso tanti week end sommerso da pile di faldoni. Avrà, almeno per ora, più tempo per passeggiare.

In una domenica d'autunno lascia Palazzo Chigi salutato in modo smart dalla prima premier donna: «Ciao Mario».

Poi scende le scale, seguendo una guida rossa: ecco gli onori militari e i battimani dei collaboratori affacciati alle finestre. Lui li ringrazia, con le braccia protese, quasi una benedizione laica e rapida, alla sua maniera. Prima di sparire, dopo venti mesi passati in prima pagina.

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