Dalle politiche migratorie alle dimissioni: chi è il funzionario nella bufera

Michele Di Bari, capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, si è dimesso oggi dopo che sua moglie è stata arrestata nell'ambito di un'inchiesta sul caporalato

Michele Di Bari con Giuseppe Conte nel 2018
Michele Di Bari con Giuseppe Conte nel 2018

La notizia di un blitz delle forze dell'ordine contro il caporalato in provincia di Foggia scuote il Viminale. Michele Di Bari, capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, dipendente del Ministero dell'Interno, si è dimesso dopo che sua moglie è risultata tra la 16 persone arrestate.

Di Bari, classe 1959, nativo di Mattinata, in provincia di Foggia, vanta una lunga carriera come prefetto della Repubblica. Laureato con lode in giurisprudenza, consegue poi il diploma del corso di studio per aspiranti segretari comunali presso la LUISS e frequenta il corso biennale di "Management in sanità" presso la Scuola di Direzione Aziendale dell'Università Bocconi di Milano. In seguito si dedica al corso di perfezionamento su "Cittadinanza europea ed amministrazioni pubbliche", organizzato dalla Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno in collaborazione con l'Università degli Studi Roma Tre. Nel 1990 inizia la sua carriera prefettizia e, dopo undici anni, viene promosso viceprefetto. Diventa, poi, capo di Gabinetto e viceprefetto vicario presso la prefettura di Foggia. Nel corso della sua carriera ricopre numerosi incarichi, tra cui quelli di vice Commissario Governativo della nuova Provincia di Barletta-Andria-Trani e di Commissario ad acta per l'esecuzione di provvedimenti giurisdizionali del Tar - Puglia. Svolge il compito di commissario straordinario di numerosi comuni. Nel 2007 viene nominato esperto di sanità e politiche sociali dalla Presidenza del Consiglio, mentre nel 2010, dopo esser diventato prefetto, le funzioni di vice commissario del Governo nella Regione Friuli Venezia Giulia. Dal 2012 è prefetto di Vibo Valentia per un anno, prima di passare a Modena, dove lavora dal 2013 al 2016 e, infine, va a Reggio Calabria. Qui vi rimane fino al 14 maggio 2019 quando viene nominato capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione. Oggi sono arrivate le dimissioni, subito accettate dal titolare del Viminale.

Nel corso di un'intervista rilasciata lo scorso giugno al quotidiano cattolico Interris, Di Bari definiva così il modello d'integrazione italiano: “Quello di costituire uno strumento di responsabilizzazione nei confronti del territorio e della comunità di residenza, che sia il principale anticorpo in grado di prevenire e neutralizzare fenomeni di radicalizzazione".

L'integrazione, a suo dire, è un'opportunità: "L’Italia - aveva dichiarato -, storico crocevia di popoli e culture, ne è testimone privilegiato, come dimostrato dalle sue ricchezze artistiche e urbanistiche, realizzate nel corso dei secoli. Nel corso degli ultimi 50 anni il nostro Paese, che ha visto emigrare 60 milioni di Italiani in tutto il mondo, è diventato meta di migranti, intenzionati a migliorare le proprie condizioni di vita.

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