Ecco perché il centrodestra stravince nei piccoli comuni

Nei comuni fino a 15mila abitanti la coalizione di centrodestra ha ottenuto in media un vantaggio di 30 punti percentuali su quella di centrosinistra

Ecco perché il centrodestra stravince nei piccoli comuni

La geografia del voto italiano dello scorso 25 settembre ricalca le dinamiche che erano emerse negli Stati Uniti già ai tempi della sfida Trump-Clinton. Le aree rurali e i piccoli centri sono saldamente in mano ai partiti più conservatori, mentre le città metropolitane, fatta eccezione per le periferie degradate, tendono a premiare le forze politiche progressiste. Un fenomeno che si è manifestato in modo ancora più accentuato nella scorsa tornata elettorale.

I numeri del successo del centrodestra nei piccoli comuni

Secondo i dati dell’Istituto Cattaneo nei comuni fino a 15mila abitanti, la coalizione di centrodestra in media ha ottenuto un vantaggio di 30 punti percentuali rispetto a quella di centrosinistra, e 10 punti in più della somma dei voti di Pd, Azione-Italia Viva e Movimento 5 Stelle. I piccoli centri, popolati da piccoli imprenditori, commercianti, agricoltori, insomma, diventano delle roccaforti inespugnabili, dove i partiti di centrodestra sembrano non avere rivali. Anche nei comuni di dimensioni intermedie, quelle che vanno dai 15mila ai 350mila abitanti, la destra registra un vantaggio netto rispetto al Pd e ai suoi alleati, ma in questo caso il risultato ottenuto da Fdi, Lega, Forza Italia e Noi Moderati è inferiore alla somma dei voti di Pd, Calenda e grillini.

Una "costante" della storia elettorale italiana

Al netto del fatto che l’idea di un’alleanza elettorale che metta insieme Dem, contiani e centristi sia a dir poco lunare, il dato per gli addetti ai lavori indica come in questi territori ci sia una maggiore competitività tra i due poli. Il centrosinistra a guida Pd, invece, ottiene un piccolo vantaggio, circa 3 punti in più rispetto al centrodestra nelle città metropolitane. Anche qui vanno fatti però i dovuti distinguo, visto che le periferie, soprattutto quelle più disagiate, ormai non riconoscono più nella sinistra un interlocutore credibile.

Mentre il ribaltamento dei rapporti di forza nei quartieri operai e l’arroccamento dei progressisti nelle Ztl è un fenomeno piuttosto recente, l’affermazione dei partiti di centrodestra nei piccoli comuni può essere considerata una costante della nostra storia elettorale. "Nella prima repubblica la Dc, come il centrodestra di oggi, raccoglieva più consensi nei piccoli comuni che nelle grandi città. Nel 1972, ad esempio, ottenne il 53% nei comuni con meno di 5000 abitanti e il 43% nelle metropoli con più di 350.000. In misura più attenuata lo stesso fenomeno è riemerso nel confronto tra centrodestra e centrosinistra dopo il cambiamento politico dei primi anni Novanta", spiega al Giornale.it il direttore dell’Istituto Cattaneo, Salvatore Vassallo.

La frattura tra centro e periferie

Dietro ci sarebbero innanzitutto fattori di carattere culturale: "Chi risiede nei comuni minori, rurali o montani generalmente ha una mentalità più conservatrice e tradizionalista di chi risiede nelle grandi città, che di solito mostra tendenze più progressiste". Ma non solo. Evidentemente a contare è anche il tessuto sociale: chi vive nelle realtà più piccole, commercianti e piccoli imprenditori che spesso devono fare i conti più di altri con le dinamiche della crisi, trova risposte più convincenti nel centrodestra. Nelle grandi città, dove abitano anche moltissimi studenti, professionisti e impiegati nella pubblica amministrazione, prevalgono invece altre logiche.

Una frattura, questa, che si riflette anche nelle dinamiche interne alle metropoli dove, ricorda il direttore dell’istituto bolognese, "l’equilibrio politico si è praticamente invertito nel corso dell’ultimo decennio, quando anche a

livello internazionale c’è stato uno spostamento di dimensioni significative del voto, soprattutto tra operai e disoccupati, verso nuove forze anti-establishment o verso partiti di centrodestra".

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