Formalità, distanza - fisica e mentale - profonde incomprensioni. Il nuovo Re Carlo non ha lesinato tributi affettuosi e di stima per Sua Maestà la Regina Elisabetta II, «un esempio di amore permanente e servizio disinteressato», «un'ispirazione per me e la mia famiglia», «la mia amata madre». Eppure il rapporto del nuovo sovrano con «mummy», come ha osato chiamarla in pubblico rarissime volte, condite da alzate di sopracciglio ed evidente imbarazzo di lei, più che burrascoso è stato spesso distaccato, complicato dalla giovane età di una donna che si scoprì regina a 25 anni, quando il primogenito Carlo ne aveva appena 4. Un episodio racconta meglio di tante parole cosa abbia significato per il piccolo Charles l'ascesa al trono della madre. Era il 1953, Carlo non la vedeva da sei mesi perché la Regina era partita con il Principe Filippo per un tour del Commonwealth dopo l'incoronazione. «Lui corse a bordo della Britannia per darle il bentornato a casa - è una delle testimonianze raccolte da Kitty Kelley nel suo libro «The Royals», un ritratto controverso della Famiglia Reale britannica - Carlo corse per unirsi al gruppo di dignitari in attesa di stringerle la mano. Quando la Regina vide il giovane figlio dimenarsi in fila, disse: No, non tu, caro. Non lo abbracciò né lo baciò, gli diede semplicemente una pacca sulla spalla e passò alla persona successiva». Questione di protocollo, di obiettivi e telecamere puntati addosso, di pubblico e privato che non devono mischiarsi. Come avrebbe ricordato l'ex Principe di Galles, oggi Re, in un altro retroscena monarchico di Ingrid Seward, «My husband and I», «la mamma era una figura remota e affascinante che veniva a darti il bacio della buonanotte, profumata di lavanda e vestita per cena». Colpa del ruolo di Elisabetta II, incarnato con enorme senso del dovere e immensa dedizione. Colpa degli impegni pubblici e delle scartoffie che la tenevano impegnata per intere giornate. Ma anche della distanza caratteriale tra Carlo e i suoi genitori. Secondo una delle biografe del nuovo Re, Sally Bedell Smith, citata in un approfondimento di Vanity Fair America - una volta cresciuto «Carlo si ritirò sempre più nella formalità con i genitori», con cui faticava a condividere per esempio le sue passioni per la poesia, il teatro e l'arte, pur comprendendo i limiti di una vita familiare minata dai doveri monarchici. Il padre Filippo riteneva troppo timido e insicuro il figlio, le provava tutte per farlo uscire dal guscio, compreso iscriverlo a Gordonstoun, la scuola in Scozia dove la famiglia credeva che Carlo avrebbe temprato il carattere in una scuola di disciplina e attività fisica al gelo, ma che l'allora Principe definì «l'inferno sulla terra».
L'età adulta di Carlo si è svolta immersa in grandi silenzi, colmati dalla nonna, la Regina madre, che si occupava spesso di lui quando i genitori non c'erano. E quando in età adulta la famiglia spinse per il matrimonio con Diana e poi cercò di insabbiare i problemi di una relazione che stava naufragando, per poi accettare il divorzio, Carlo era in famiglia un incompreso, tanto che Robert Jobson in «King Charles: The Man, the Monarch, and the Future of Britain» scrive che la Regina e il marito lo consideravano «una mina vagante», avendo la prima molta più sintonia con il figlio Andrea e il secondo con la figlia Anna. Secondo la biografa Smith, capitava che Carlo chiedesse della madre: «Perché non abdica?».
Le cose sono cambiate negli ultimi anni. Sua Maestà e il primogenito si sono avvicinati, come dimostrano il via libera al matrimonio con Camilla e al titolo di «Regina consorte».
Mamma Elisabetta aveva capito che il figlio, fino a pochi anni prima considerato «un eccentrico senza speranza», stava davvero lavorando per diventare un Re serio e devoto alla nazione, degno della sua ingombrante eredità.
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