Al Pd di Elly Schlein è toccato «baciare il rospo».
Il grosso del gruppo parlamentare a Strasburgo ha votato sì al bis di Ursula von der Leyen, dopo settimane agitate e tra molti mal di pancia: solo due defezioni, ampiamente previste, dei soliti Marco Tarquinio e Cecilia Strada. Sempre pronti, una volta assicuratisi l'ambito seggio, a distinguersi secondo il noto brocardo morettiano: «Mi si nota di più se non vengo o se vengo e sto in disparte?».
Il mal di pancia nel dire sì alla vice-presidenza di Raffaele Fitto, e (soprattutto) all'aver votato sì insieme al partito di Giorgia Meloni, lambisce i vertici stessi del Pd. Ma Schlein, assediata dai colleghi europei a cominciare dal premier spagnolo Pedro Sanchez, protagonista dell'accordo tra Ppe e Socialisti (a loro volta spaccati) per il via libera reciproco a Fitto e all'iberica Ribera, aveva le mani legate. Tanto più che i big storici dell'europeismo dem, da Prodi a Gentiloni, la pressavano da vicino.
E una metà abbondante del suo gruppo (dai riformisti alla vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno al capo-delegazione Zingaretti) era favorevole all'intesa. Soprattutto per evitare il rischio di una debacle parlamentare della Commissione che, in tempi di guerra, avrebbe messo in ginocchio l'intera Ue.
«Si è fatta una caricatura della nostra posizione, ma il problema non siamo mai stati noi», assicura Zingaretti. Il Pd schleiniano però soffre assai la concorrenza a sinistra di Avs e 5S, che hanno votato no e inveiscono contro la nuova Commissione parlando di «alleanza Meloni-Schlein», e causando profonde sofferenze al Nazareno. Lo schleiniano Alessandro Zan confessa «grande fatica» nel suo sì. «Ma altrimenti avremmo bloccato le istituzioni Ue», si giustifica.
Altri, come Annalisa Corrado e Guido Ruotolo, cercano di autoassolversi dal voto insieme all'odiata Meloni spiegando che «altrimenti la maggioranza sarebbe ancor più spostata a destra». E che comunque il loro voto «non è un assegno in bianco».
Cerca come sempre di farsi notare Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire e poi, dopo la giubilazione, assunto da Schlein nelle liste europee in quota «pacifismo» filo-russo: da allora, non ha votato una volta sola con i compagni di partito sulle questioni serie.
Dice di non avere «niente contro Fitto» e confida accorato la sua «decisione sofferta», causata dagli «inquinamenti antieuropei» della «visione nazional-sovranista» di Ecr. Il che, detto da chi su questioni fondamentali come la difesa della Resistenza ucraina contro l'imperialismo russo vota sempre insieme ai neo-nazi di Afd e a Orban, è quanto meno curioso.
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