Da leader precaria a aspirante premier e potenziale «federatrice» di una coalizione alternativa. Che ancora non c'è.
Il successo alle Europee, con il Pd che non solo cresce in percentuale ma anche - unico partito insieme a Avs - in numero effettivo di voti, mette saldamente in sella Elly Schlein. Lo riconosce anche il padre dell'Ulivo Romano Prodi, che in questi mesi non ha risparmiato critiche alla nuova leader dem (fino a definire «una ferita alla democrazia» la sua candidatura di bandiera per Strasburgo). «Dissi che poteva essere la federatrice di tutta l'opposizione - dice intervistato da La Stampa - Ora l'occasione si presenta: vedremo se vuole farlo e se saprà farlo», è la sua agrodolce incitazione. Con una chiosa: «La cultura di governo non va preservata, va costruita: questo è il problema». Però ora Elly, per «meriti e anche per insperata fortuna» ha «l'occasione concreta per farlo». Una «occasione unica, ma bisogna saperla cogliere costruendo ciò che manca: una coalizione e una cultura di governo».
Elly Schlein in tanto si gode il successo, ingigantendolo nell'entusiasmo del day after: «Quando ho preso in mano il Pd era al 14,5%: abbiamo fatto un balzo di 10 punti», racconta a Repubblica. Forse si riferisce a qualche sondaggio, ma nella realtà il Pd era al 19%, e il balzo è stato di 5 punti sulle politiche del '22 (di un paio rispetto alle scorse europee), che è pur sempre ragguardevole. Ieri la segretaria ha riunito i gruppi parlamentari per festeggiare insieme il risultato e tracciare l'agenda dei prossimi mesi. Da leader in pectore e «testardamente unitaria» dell'opposizione. Primo capitolo, le riforme istituzionali volute dal governo: «Sul premierato Giorgia Meloni, rafforzata dal voto, andrà avanti senza tentennamenti», ragionano i suoi strateghi parlamentari. Ma sull'Autonomia differenziata, avverte la segretaria, «possiamo riuscire a inserirci all'interno delle divisioni della maggioranza». La Lega di Salvini è indebolita, mentre in Forza Italia il Pd è convinto di poter trovare una sponda per frenare la riforma. Del resto, spiega Schlein, «il nostro straordinario successo al Sud», dove il Pd si è affermato come primo partito, svuotando i serbatoi dei Cinque Stelle, «è un segnale importante in questa direzione».
In Transatlantico, a Montecitorio, Elly abbraccia Fratoianni di Avs, si ferma a parlare con Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi di +Europa, riannoda i fili dei rapporti dopo la competizione elettorale con i potenziali alleati. I renziani sono convinti che il «niet» di Calenda alla lista unica centrista, che avrebbe certamente superato il quorum, sia frutto di un accordo con la leader Pd: dividere il centro per consentirle di riassorbirlo. E i Cinque Stelle? Elly non infierisce sulla batosta del povero Giuseppi, anzi fa sapere di averlo sentito al telefono, di averne ricevuto le congratulazioni e di essere pronta a continuare a «lavorare insieme» per l'unità delle opposizioni. Tanto ormai l'ambizioso Conte è distanziato di 15 punti, e deve abbassare la cresta: non preoccupa più.
Tanto che il Pd, nel Parlamento europeo, è pronto a lasciarlo al suo destino: «Farli entrare nel gruppo S&D? Era un'ipotesi di molti mesi fa - dice un dirigente - ma oggi che ci importa di imbarcare quattro gatti irrilevanti, che giorni fa facevano sapere di voler fare gruppo con un po' di estreme destre e sinistre putiniste? Fatti loro».
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