L'ultimatum ai manager, ovviamente, arriva via mail. Imperioso e definitivo come il mittente: «Il lavoro da remoto non è più accettabile. Si deve essere in ufficio almeno 40 ore alla settimana o lasciare Tesla. È meno di quanto chiediamo agli operai negli stabilimenti». Firmato: Elon Musk.
Il ceo di Tesla, patrimonio netto 218,1 miliardi di dollari, richiama i suoi in presenza e si scaglia contro il lavoro da casa perché «la sede di Tesla non è e non deve essere considerata una filiale remota dell'azienda». Chi non dovesse essere d'accordo, può sempre accomodarsi all'uscita. Ma... c'è un ma. Ed è legato, oltre che a circostanze «eccezionali» a una valutazione di merito. Musk sarebbe infatti disposto a fare qualche distinguo e scrive infatti: «Se ci sono collaboratori particolarmente bravi impossibilitati a lavorare in presenza, esaminerò e approverò personalmente tali eccezioni». In generale, però, la posizione di Musk è molto chiara, tanto che rispondendo a uno screenshot della presunta e-mail pubblicata su Twitter, non ne ha negato l'autenticità e ha invece scritto che chiunque non sia d'accordo con la sua politica di rientro in ufficio «dovrebbe andare a lavorare da qualche altra parte». Categorico e perentorio. D'altra parte l'ad di Tesla (e di un sacco di altre aziende), non ha mai fatto segreto di voler cambiare il mondo e la società. E lo ha dimostrato a colpi di viaggi sulla luna, intelligenza artificiale, emissioni zero, progetti di città lontane dalla terra, acquisizione di dati e miliardi, miliardi, miliardi. Figuriamoci assoggettarsi ai dipendenti sparpagliati chissà dove a dettare al boss il modo di lavorare... Peraltro Tesla non è l'unica azienda che sta cambiando atteggiamento nei confronti del lavoro da remoto. E l'inversione di rotta arriva proprio da quei colossi delle tech company che per primi avevano accolto con elasticità e prontezza la nuova modalità di lavoro da casa. Quasi considerandolo un'evoluzione inevitabile. Ora le cose stanno cambiando anche per aziende come Apple e Twitter, anche se con modalità molto differenti. Mentre Facebook di Mark Zuckerberg resta per ora fedele al lavoro da casa.
Il colosso della «Mela» ha da poco comunicato ai suoi dipendenti l'obbligo di rientro almeno tre giorni alla settimana. E un gruppo di loro si è riunito in gruppo (Apple Together) per chiedere, attraverso una lettera, maggior flessibilità. Hanno fatto riferimento all'enorme spreco di tempo ed energia che il pendolarismo comporta, e hanno fatto notare che il rischio di un atteggiamento rigido e impositivo, da parte dell'azienda sul ritorno in sede, rischia addirittura di interferire con la creatività e la produttività dei dipendenti.
A marzo anche Twitter ha riaperto gli uffici e prontamente ha fatto pervenire ai suoi dipendenti la richiesta di tornare in sede. Ma in questo caso, il ceo Parag Agrawal, ha dato la possibilità di scegliere con quale frequenza e ha fornito anche la possibilità di poter rimanere totalmente in smart working. In controtendenza il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, che nel 2021 ha annunciato che la società avrebbe consentito a tutti i dipendenti a tempo pieno di lavorare sempre in smart working fino a metà 2022 (sempre che la loro mansione lo permetta, ovviamente).
E infatti in proposito aveva scritto: «Ho scoperto che lavorare da remoto mi ha dato più spazio per pensare a lungo termine e mi ha aiutato a trascorrere più tempo con la mia famiglia il che mi ha reso più felice e più produttivo sul lavoro».
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