Enti, banche e holding: il «sistema Fassino» vacilla

Nel mirino della grillina Chiara Appendino le nomine eccellenti del sindaco uscente alla vigilia del voto

Enti, banche e holding: il «sistema Fassino» vacilla

nostro inviato a Torino

Se perde, se ne andranno con lui. Perché i 5 stelle vogliono fare a pezzi la corona del re, Piero Fassino. Il sistema di potere sabaudo, fondazioni e partecipate, trema sotto l'urto grillino. A rischio sono in particolare le nomine effettuate in extremis, alla vigilia del voto. Chiara Appendino è stata categorica: si aspetta, se dovesse spuntarla al ballottaggio, almeno un paio di dimissioni eccellenti. Su tutte quelle di Francesco Profumo e Paolo Peveraro.

Profumo, banchiere ed ex ministro ben inserito nell'élite della sinistra italiana, era alla guida di Iren, la potente multiutility che offre servizi ai comuni di Torino, Genova e Reggio Emilia. Poi, nei giorni scorsi, Profumo è stato nominato alla testa della Fondazione San Paolo e al suo posto in sella a Iren è spuntata una vecchia gloria come Peveraro.

Mosse canoniche, per via del timing di legge, e però inevitabilmente lette come un consolidamento del fortino fassiniano.

La Fondazione eroga più di 50 milioni l'anno, quasi 200 in un quadriennio: una montagna di soldi che ricadono per l'83 per cento sul territorio di Torino e costituiscono un volano straordinario allo sviluppo di attività sociali, culturali, sportive. Ancor di più oggi, con i bilanci dei Comuni sempre più risicati e il Patto di stabilità che blocca le spese. La Fondazione, che controlla il 9 per cento di Intesa, è dunque un soggetto importantissimo per la gestione della città, come lo è la Fondazione Cassa di risparmio di Torino - fra i soci di Unicredit - la cui nomenclatura, pur vicina al centrosinistra, è però meno targata e identificabile.

All'Iren ora c'è Paolo Peveraro, estrazione liberale e un lungo cursus honorum al Comune e alla Regione nelle giunte rosse. C'era lui sulla poltrona strategica del Bilancio quando i postcomunisti sabaudi s'innamorarono dei derivati, poi rivelatisi una delle grandi trappole della finanza di oggi. Risultato: qualcuno ha riassunto la sua parabola affibbiandogli un nomignolo non proprio esaltante: «Indebitator». Ora però «Indebitator» si trova alla testa di questa corazzata finita puntualmente nelle interrogazioni dei grillini per una sfilza di ragioni: i debiti vertiginosi nei suoi confronti, 180 milioni, da parte del Comune, la lontananza dal territorio, una politica delle sponsorizzazioni «drogata». Fassino ha risposto per le rime: grazie a Iren Torino è la città più teleriscaldata d'Italia e può vantare un'illuminazione pubblica a led. Schermaglie. Scricchiolii. Crepe in un mondo che si stava già riprogrammando e ora trattiene il fiato.

La mappa della Torino fassiniana, o fassiniano chiampariniana, è però molto più estesa e tocca altre realtà. Fabrizio Gatti, vecchio militante comunista, è al vertice di Finpiemonte, la finanziaria della Regione che ha 160 dipendenti un budget di circa 400 milioni. C'è poi la Sagat, la società che gestisce l'aeroporto di Caselle, ora in parte privatizzato per far cassa e far scendere sotto la linea dei 3 miliardi di euro il debito che schiaccia Torino. L'amministratore delegato è però ancora espressione della classe politica che sopravvive a tutto e a tutti: Roberto Barbieri non è un manager ma un ex deputato ed ex senatore del Pd, poi riciclatosi fra gli aerei.

A Torino molti considerano Caselle non all'altezza di una metropoli ambiziosa: è mal collegata con Torino e non entra nella top ten degli scali tricolori, pur servendo la quarta città italiana. Solo elogi, invece, per la gestione del Museo Egizio, una macchina da guerra che in un anno ha calamitato quasi un milione di turisti.

Ma pure il numero uno dell'istituzione, Evelina Christillin, è perfettamente inserita nel sistema torinese. E ha partecipato alla Leopolda, gufando con Renzi prima di una Juventus-Fiorentina. Qualcuno ora potrebbe presentarle il conto.

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