«Non si vende la pelle dell'orso prima di averlo ucciso». La metafora con cui l'alto rappresentante Ue in Ucraina Joseph Borrell commenta la frettolosa esultanza di Mosca alla notizia del possibile strappo di Giuseppe Conte dalla fiducia al governo di Mario Draghi, prevista per domani, racconta meglio di qualsiasi retroscena la situazione italiana.
In Europa e negli Usa la sensazione è che l'improvvida spallata che il leader M5s vorrebbe infliggere all'ex banchiere Bce e all'intero Paese farà più danni ai contiani che all'esecutivo. D'altronde, Washington è sempre stata molto attenta a non interferire mai direttamente nelle questioni politiche italiane, come il Dipartimento di Stato Usa ha sottolineato qualche giorno fa, lodando al tempo stesso il premier per aver difeso «gli interessi condivisi di Usa e Italia nella grande regione del Mediterraneo» e aver aiutato a «forgiare una risposta senza precedenti di Ue e Nato alla guerra della Russia in Ucraina», fiducia ampiamente ripagata e ribadita durante il recente incontro di Supermario alla Casa Bianca.
La caduta di Draghi sarebbe sì un regalo a Vladimir Putin, ma la diplomazia Usa è convinta, come Borrell, che Mosca abbia cantato vittoria troppo presto. All'ambasciata Usa le bocche sono cucite. Per una serie di giochi a incastro la poltrona di ambasciatore è ancora tecnicamente vacante. Ieri si è insediato il nuovo incaricato d'affari degli Stati Uniti, Shawn Crowley, arrivato al posto di Thomas Smitham, che aveva preso il posto di Lewis Eisenberg, l'ambasciatore nominato dall'ex presidente Donald Trump. L'attuale direttore dell'ufficio Europa occidentale del Bureau per gli Affari europei ed eurasiatici del Dipartimento di Stato, che ha alle spalle una lunghissima carriera, iniziata nel 1991 in Kuwait, passando per Kosovo, Libia, Tel Aviv, Uzbekistan e Kirghizistan sta per presentare le credenziali, in attesa che il Congresso dia il via libera al sostituto di Eisenmberg (per Repubblica in pole ci sarebbe persino la potente Nancy Pelosi). Che i rapporti tra l'amministrazione di Joe Biden e Giuseppe Conte non siano idilliaci non è certo un mistero. Non è un caso se la rovinosa caduta dell'avvocato M5s sia sostanzialmente coincisa con l'inizio del mandato dell'ex numero due di Barack Obama. Giuseppi paga non solo la sua smodata ambizione e i suoi molteplici errori in politica estera, ma anche i flirt con Putin e con alcuni leader europei ostili agli Usa, la firma del memorandum cinese con Xi Jinping, certe posizioni sovraniste e/o antiatlantiste, certi flirt ma soprattutto le liason dangerouses con l'ex inquilino della Casa Bianca Trump, legate a doppio filo anche alla delicatissima questione della delega sui servizi segreti che Conte non ha mai voluto mollare, fino quasi all'ultimo, e che lo hanno logorato, fino alla sua defenestrazione, benedetta senza troppo clamore anche Oltreoceano, soprattutto oggi che alla poltrona più prestigiosa della Farnesina c'è l'alter ego grillino Luigi Di Maio.
Un esperto di intelligence ricorda al Giornale che nelle scorse settimane il Copasir ha riaperto il dossier sul cosiddetto Russiagate e sugli incontri fra l'ex ministro americano Raimond Barr e i responsabili dei nostri 007 - con ambasciata Usa e Fbi a Roma ufficialmente all'oscuro degli spostamenti di Barr - che aprirono uno scontro decisivo dentro i servizi italiani di cui ancora oggi si sentono gli strascichi, vedi il famigerato video dell'incontro all'autogrill tra Marco Mancini e Matteo Renzi, mandato in onda da Report e su cui indagano tre Procure (Roma, Firenze e Ravenna).
Qualcun altro ricorda invece che l'allora premier fece molta fatica a congratularsi con Biden per la sua vittoria, nonostante gli sforzi dell'ambasciatore Pietro Benassi, al tempo consigliere diplomatico del premier, proprio per colpa di quelle lettere scarlatte idealmente marchiate sul bavero della giacca, DT come Donald Trump, che Conte esibiva pavoneggiandosi dopo il famoso tweet del tycoon che lo elogiava. La vanità è un peccato mortale.
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