La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, citando i 2.770 miliardi di euro finora mobilitati contro il coronavirus, ha parlato ieri «della più ampia risposta finanziaria ad una crisi europea mai data nella storia». Eppure, queste risorse non appaiono ancora sufficienti. Certo non lo sono i 100 miliardi del progetto Sure contro la disoccupazione, per quanto l'impianto abbia qualche ingrediente riconducibile alla solidarietà. Né paiono bastare i 250 miliardi per la ricostruzione di cui si farebbe carico la Banca europea degli investimenti.
Serve ben altro, e le proposte che continuano a fioccare alimentano il dibattito in vista dell'appuntamento cruciale di martedì prossimo, quando l'Eurogruppo tornerà a riunirsi. Abortita sul nascere l'idea di lanciare gli eurobond per l'opposizione dei Paesi rigoristi nonostante il premier Giuseppe Conte non molli la presa («È evidente che sarebbero una risposta efficace»), sul tavolo resta l'attivazione del Mes. L'Italia non vuole vincoli capestro, come ribadito ieri dal commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni («Il Mes è completamente inadeguato»), la Francia spinge per una sua versione light e senza che l'adesione al fondo salva-Stati si traduca in uno stigma per chi ne dovesse beneficiare. Illusioni che sembrano frantumarsi davanti al documento messo a punto dall'European working group (di cui fa parte l'intera squadra del Mes), e anticipato ieri dalla Stampa: un doppio binario su cui corre anche un nuovo strumento, chiamato Rfi, con risorse da erogare fino a 80 miliardi e rapportate al peso di ciascuna nazione nel capitale dello scudo salva-Stati. L'Italia avrebbe diritto a linee di credito fino a 13,6 miliardi, una cifra esigua che potrebbe però essere resa più elastica in base alle necessità. Ma le condizionalità, così come per quanto riguarda l'impianto originario del Mes (che resta il primo binario), non mancherebbero, seppur più morbide: le regole di bilancio andranno comunque rispettate, al pari delle raccomandazioni del semestre europeo. E per vedere i quattrini, andrebbe firmato un Memorandum. Di fatto, il secondo braccio d'intervento non si discosta poi di molto dalla soluzione di compromesso che Bruxelles sembrava aver individuato e basata sul depotenziamento dei meccanismi che determinano il commissariamento dei Paesi sotto assistenza finanziaria. A patto di tenere ferma la barra sul rispetto del Patto di stabilità, una volta ripristinato. Per Roma, sarebbe come un cappio sventolante se il debito dovesse esplodere fino al 150% del Pil. Le ultime stime di Fitch indicano una diminuzione del prodotto interno lordo tricolore del 4,7% nel 2020, che non sarà assorbita dal rimbalzo dell'anno prossimo (+2,3%).
Proprio queste cifre suggeriscono che l'Europa avrà la necessità di sgomberare il campo dalla macerie. Servirebbe una dotazione permanente di fondi da utilizzare come continuo sostegno alla crescita, non certo la miopia travestita da slancio solidaristico che ha portato il premier olandese Mark Rutte ad annunciare di voler presentare all'Eurogruppo la proposta per un Fondo di emergenza Covid-19, destinato a coprire le spese sanitarie dei Paesi più colpiti dalla pandemia. «Senza alcuna condizionalità», ha tenuto a sottolineare il leader dell'Aja. Una precisazione grottesca. Più aderente ai tempi sbandati che stiamo vivendo è invece l'idea lanciata dal ministro francese dell'Economia, Bruno La Maire: «Dobbiamo riflettere su strumenti a lungo termine per far ripartire la crisi, dobbiamo mettere insieme risorse, perciò la Francia ha proposto di creare un fondo temporaneo che emette bond garantiti dagli Stati». Un altro appello nel deserto? Probabile, visto l'atteggiamento ambiguo di molti leader.
A cominciare dalla von der Leyen, con le sue scuse a scoppio ritardato riportate da Repubblica: «Italia, ora l'Ue è con voi». Qualcun altro, tipo Commerzbank che ha consigliato ai clienti di sbarazzarsi dei Btp in procinto di diventare «spazzatura», non sembra ancora al nostro fianco.
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