«Ognuno ha le mani libere. Le ha sempre avute Giorgia, le ha anche Salvini...». Seduto su un divano del Transatlantico a pochi metri dall'ingresso dell'Aula, Francesco Lollobrigida dribbla così la domanda sulla possibile candidatura di Meloni alle Europee di giugno. Una decisione, aveva detto la premier, da prendere insieme agli alleati e, magari, dopo un incontro chiarificatore con Matteo Salvini e Antonio Tajani. Il leader della Lega, però, ha anticipato i tempi e lunedì sera ha fatto sapere che non scenderà in campo («resterò a fare il ministro» a tempo pieno). Esattamente come il segretario di Forza Italia, che non è stato altrettanto tranchant ma che anche lui ha sottolineato il rischio che un impegno in campagna elettorale possa nuocere all'attività del governo.
Insomma, magari solo per caso, ma Salvini e Tajani si sono di fatto mossi in tandem e hanno lasciato il cerino in mano a Meloni. E lo hanno fatto prima di qualunque incontro chiarificatore. Il sottotesto è chiaro: ora tocca a te, decidi se vuoi o non vuoi candidarti alle Europee, ma è una scelta solo tua.
Di qui la prudenza dei big di Fdi che ieri affollavano la Camera. Il ministro Lollobrigida si smarca con abilità e chiama in causa Donzelli («parlate con Giovanni»). Lo stesso, in un affollato capannello in Transatlantico, fa il capogruppo Tommaso Foti quando gli chiedono di commentare la nota della Lega sulla candidatura del governatore uscente alle ormai imminenti elezioni regionali in Sardegna. Dopo il «no» di Salvini a correre per le Europee, il Carroccio ha infatti scelto di ribadire con nettezza l'appoggio a Christian Solinas, che non ha invece il sostegno del partito di Meloni che lo considera per diverse ragioni un nome «a perdere». Anche qui, l'imbarazzo di Fdi è evidente. E dopo aver provato a stemperare coinvolgendo il leghista Stefano Locatelli («chiediamo a lui cosa ne pensa»), Donzelli - responsabile organizzazione di via della Scrofa - spiega che «il tavolo regionale ha già indicato a larga maggioranza Paolo Truzzu», l'attuale sindaco di Cagliari che Fdi vorrebbe come candidato governatore della Sardegna.
Una partita che può sembrare locale, ma che è probabilmente la cartina di tornasole di un braccio di ferro nazionale. Dopo che Salvini e Tajani si sono chiamati fuori dalla competizione per le Europee, infatti, se Meloni dovesse decidere di candidarsi - come resta probabile - lo farebbe senza un'intesa con i suoi alleati. E siccome non è un mistero che la presenza della premier capolista nelle cinque circoscrizioni elettorali delle Europee sarebbe un booster di 2-3 punti percentuali rispetto a quel 29% che i sondaggi già oggi attribuiscono a Fdi, è presto spiegata la ritrosia di Lega e Forza Italia. A via della Scrofa, infatti, sostengono che la discesa in campo di Meloni avrebbe l'obiettivo di rosicchiare voti a Carlo Calenda e Matteo Renzi, ma inevitabilmente - e a Palazzo Chigi lo sanno bene - finirebbe per intaccare anche i consensi del Carroccio e degli azzurri. Che già ora - al netto della consueta polarizzazione delle settimane che precedono il voto - sono decisamente dietro a Fdi. Stando ai sondaggi, la Lega è intorno al 9% mentre Forza Italia naviga qualche decimale sopra al 7%.
Niente di strano, insomma, che Salvini e Tajani auspichino che alla fine Meloni ci ripensi ed eviti una candidatura considerata «ostile». Soprattutto il leader della Lega, che insistendo su Solinas in Sardegna sta mandando un messaggio chiaro: se non si trova un accordo complessivo e che comprenda anche le Europee, allora liberi tutti.
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