I tre detenuti evasi l'altra notte dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) non si sono fatti lo scrupolo del Totò galeotto che nel film Un turco napoletano si rifiuta di diventare un e-vaso da notte, optando così per una fuga mattutina. Per il resto la dinamica dell'evasione è stata la stessa: inferriata divelta e lenzuola attorcigliate usate come corda per calarsi in strada. Il terzetto doveva scontare pene comprese tra 5 e 6 anni per reati legati allo spaccio di droga.
«Gli agenti di polizia penitenziaria - fanno sapere dell'istituto - sono al lavoro nelle ricerche, che coinvolgono anche agenti liberi dal servizio».
I tre evasi di ieri si aggiungono ai tre «colleghi» fuggiti a febbraio dal carcere di Firenze e ai due detenuti in «permesso premio» mai rientrati in cella. Un inizio 2017 da record con una media di più di un «caso» al mese.
Donato Capece, storico segretario del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) non ha mai mancato di denunciare un fenomeno destinato ad aggravarsi di giorno in giorno. Il motivo? «La situazione - spiega Capece al Giornale - è degenerata da quando l'amministrazione penitenziaria è stata costretta a sostituire la vigilanza statica con la vigilanza aperta».
In cosa consiste la differenza? «Fino a due anni fa i detenuti trascorrevano molte ore chiusi all'interno della cella. Per gli agenti penitenziari, benché sotto organico, era meno complicato tenere la situazione sotto controllo».
E poi cos'è successo? «È accaduto che, anche per adeguarci a una normativa europea, i detenuti si sono visti riconosciuto il diritto allo spazio vitale all'interno della cella di almeno tre metri a persona. Un parametro teoricamente giusto, ma che nelle carceri più sovraffollate è inapplicabile».
Qual è stata la conseguenza? «Si è preso spunto dalla legge europea sui tre metri per fare ciò che l'Europa non ci ha mai chiesto: e cioè tenete le celle aperte per moltissimo tempo, consentendo ai detenuti di circolare liberamente all'interno dell'istituto. È facile capire come, in queste condizioni, per gli agenti sia molto più complicato garantire la sicurezza. E non è un caso che siano drammaticamente aumentate intimidazioni e aggressioni contro gli agenti da parte di quelli che sono diventati, paradossalmente, i veri padroni delle carceri». Si riferisce ai detenuti? «Certo. Loro sono mille volte più numerosi delle guardie e, se lo decidessero, avrebbero gioco facile nel sopraffarle». Possiamo quindi dire che anche il recente boom di evasioni è frutto anche del «buonismo istituzionale»? «È sicuramente una concausa. Del resto l'input partito dal ministero non poteva certo essere disatteso dall'amministrazione penitenziaria. Che però farebbe bene a non dimenticare altri problemi fondamentali». Ad esempio? «Le condizioni di inadeguatezza in cui gli agenti sono costretti a lavorare: le guardie dovrebbero essere molte di più e avere uno stipendio adeguato per chi svolge un'attività delicata e rischiosa».
Una denuncia cui fanno eco le parole non meno allarmante dell'Osapp, altra organizzazione sindacale di polizia penitenziaria: «In questo momento la situazione delle carceri italiane è tutt'altro che normale.
Le attuali evasioni sono frutto di una politica penitenziaria dissennata che mette il detenuto al centro di ogni possibile diritto e concessioni (anche se non meritate), a discapito del personale di polizia penitenziaria. Scelte che mettono a rischio la civile convivenza e la sicurezza dei cittadini».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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