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Ex Br, lo schiaffo di Parigi Respinta l'estradizione

I giudici francesi insultano le vittime e negano all'Italia il trasferimento di dieci terroristi rossi

Ex Br, lo schiaffo di Parigi Respinta l'estradizione

«Ogni rivoluzionario ha due patrie, il paese dove è nato e la Francia», diceva il vecchio capo di Potere Operaio, Oreste Scalzone. E il mito della Francia, madre e rifugio, amica e complice, si conferma ieri per l'ennesima volta, con la decisione che suona come una beffa per le promesse elargite appena un anno fa a Mario Draghi dal suo omologo transalpino Emmanuele Macron. I terroristi latitanti che con fragore di telecamere erano stati arrestati nell'aprile 2021, «Operazione Ombre Rosse», non verranno estradati in Italia. Non pagheranno i loro crimini, e nemmeno verranno chiamati - primo tra tutti Giorgio Pietrostefani, l'organizzatore del delitto Calabresi - a raccontare finalmente la verità. Sotto tutte le latitudini politiche, la «dottrina Mitterand», il diritto d'asilo ai terroristi, continua a dettare legge in Francia.

A sancire lo schiaffo all'Italia è la Corte d'appello di Parigi, che da mesi tergiversava sulla richiesta di estradizione: e che ieri d'improvviso, lasciando spiazzati gli stessi difensori che si aspettavano un altro rinvio, emette la sentenza. La sorpresa è tale che nell'aula parigina latitanti e avvocati ci mettono un po' a capire che è davvero finita: e partono gli applausi, gli abbracci, le lacrime di gioia. A venire salvati, e a questo punto per sempre, sono insieme a Pietrostefani nomi grandi e piccoli delle bande armate comuniste che insanguinarono gli anni Settanta e Ottanta, da Marina Petrella - direzione della colonna romana delle Brigate rosse, assassina a sangue freddo del poliziotto Michele Granato, a Luigi Bergamin, complice di ammazzamenti di Cesare Battisti, il leader dei Proletari armati per il Comunismo - tutti coperti dall'indulgenza plenaria della giustizia francese, in un mischione che fa dire a Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso da Lotta Continua: «La decisione di rigettare in blocco la richiesta di estradizione senza fare distinzione tra le diverse biografie, gli iter giudiziari, le condizioni di salute, ha un sapore che la mia famiglia e quelle degli altri parenti delle vittime conoscono molto bene. Il sapore amaro di un sistema, quello francese, che per decenni ha garantito l'impunità ad un gruppo di persone che si sono macchiate di reati di sangue».

Il nostro ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che un anno fa aveva officiato la svolta (apparente) dei rapporti con la Francia, ieri invita a aspettare le motivazioni della decisione della Corte parigina. Quanto trapela da Parigi è già sufficiente per farsi una idea della sponda utilizzata dai giudici per confermare l'asilo ai latitanti: a giustificare il diniego sono due articoli della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, il primo riguarda la tutela della vita familiare, il secondo il diritto a un giusto processo. Ma senza le motivazioni è arduo capire come questi principi siano stati applicati a imputati processati secondo tutti i crismi, e in alcuni casi - come Pietrostefani - assistendo personalmente alle udienze.

A botta calda, appena la notizia-choc arriva da Parigi, in Italia si cerca di capire se esistano ancora dei margini per non considerare chiusa la faccenda. Francesca Nanni, procuratore generale di Milano, che ha sul suo tavolo i verbali di ricerca di due dei terroristi graziati ieri, fa sapere che «posso valutare nei prossimi giorni l'esistenza nell'ordinamento francese di un'impugnazione», ma la cautela dei toni racconta bene come la sensazione prevalente sia che la partita sia persa. È un colpo duro per i parenti delle vittime, che l'anno scorso avevano visti aprirsi speranze di giustizia. E masticano amaro i magistrati che avevano lavorato febbrilmente, dopo l'accordo tra Draghi e Macron, per ricostruire a tempo di record i profili giudiziari dei latitanti, condensando le loro storie processuali nei dossier da sottomettere alla magistratura francese.

Proprio la segretezza del lavoro di quelle ore, prima dell'annuncio in grande stile della retata del 28 aprile, aveva fatto sperare che fosse la volta buona. Invece no, tutti salvi. L'avvocato di Pietrostefani festeggia: «La Francia ha deciso 25 anni fa che l'avrebbe accolto e le persone non sono pacchi postali che possono essere rispediti indietro».

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