Facebook respinge le accuse: siamo imparziali

L'esperto: «Tutte le grandi società del web fanno ormai come i colossi dei media»

Andrea Mancia

Il proverbiale «vaso di Pandora» è stato scoperchiato. E ora sul «caso Facebook» è tutto un rincorrersi di analisi, iniziative politiche e indignazione social. Prima sono arrivate le rivelazioni del sito Gizmodo che, grazie alla soffiata di un ex dipendente Facebook, ha svelato come la sezione «trending news» del social network sia costruita non in base a un algoritmo «neutrale», ma grazie all'intervento umano di «giovani giornalisti, reclutati nelle università della East Coast». Giornalisti che, naturalmente, si dilettano nel censurare notizie diffuse da mezzi di informazione «non di sinistra» o «politicamente scorrette». Poi è arrivata la smentita del colosso fondato da Mark Zuckerberg, che ha negato l'esistenza di un team specializzato nella selezione delle notizie.

Prima di fare precipitosamente marcia indietro con lo stesso Zuckerberg dopo che il britannico The Guardian ha confermato e approfondito lo scoop di Gizmodo, diffondendo il documento interno con la «linea editoriale» seguita dai curatori della sezione. Nel frattempo, si era mosso addirittura il Senato statunitense, chiedendo esplicitamente spiegazioni. Ora Zuckerberg ha annunciato una «approfondita indagine» per garantire a propri utenti la «massima integrità del prodotto». In gioco, però, non c'è il diritto (sacrosanto) di una società privata come Facebook di scegliere la linea editoriale che preferisce. Ma l'esigenza di non «camuffare» questa linea editoriale dietro un paravento di neutralità tecnologica che, in realtà, non esiste più. «I network davvero aperti spiega Patrick Ruffini, guru della destra digitale Usa ormai appartengono al passato. Oggi le grandi società di Internet si comportano come i colossi dei media, con strategie condizionate dall'esigenza di monetizzazione. YouTube nasce come piattaforma di contenuti generati dagli utenti, ma adesso fugge da quel modello, pagando i propri creatori preferiti allo scopo di generare un ambiente sicuro per gli investitori pubblicitari». La tesi di Ruffini è che il «caso Facebook» sia un classico esempio di dissonanza cognitiva: quello che gli utenti si aspettano è diverso da quello che accade realmente: «Gli utenti di Facebook credono che i social network agiscano con regole diverse da quelle dei media tradizionali. Ora scoprono che questi colossi digitali si comportano come «aspiranti vecchi media». E questo rischia di distruggerne funzione e credibilità».

Basterà, per riconquistare questa credibilità, la promessa di trasparenza fatta da Zuckerberg, che ha annunciato di voler incontrare gli esponenti politici conservatori per rassicurarli sulla neutralità di Facebook? Difficile dirlo, ma una cosa è certa: una volta scoperchiato il vaso, Pandora non è più riuscita a tornare indietro.

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