E con questo siamo a 102 ingiunzioni di sgombero dal 1994, da quando il centro sociale autogestito Leoncavallo sta in via Watteau 7. Circa 300 militanti dell'area milanese si sono radunati ieri mattina dalle 9 in presidio rispondendo all'accorato appello lanciato dagli autonomi: «Per difendere i luoghi del pensiero critico, della solidarietà salvaguardare spazi che danno vita e significato alle nostre comunità, ci ritroviamo il 10 dicembre per opporci allo sfratto del Leoncavallo. Martedì occorre essere tutt* fisicamente al Leoncavallo!». Tra i presenti, esponenti dei collettivi, i ragazzi di Lobo Sound, di Cantiere e le storiche rappresentanti dell'Associazione Mamma antifasciste. «Sono presenti anche rappresentanti di realtà che in anni passati mai si sarebbero mostrate solidali racconta Daniele Farina, ex portavoce del centro sociale, ora Alleanza Sinistra e Verdi come la Camera del lavoro».
L'ufficiale giudiziario, arrivato poco dopo le 10.30 per l'esecuzione del provvedimento, ha valutato di rinviare l'operazione al 24 gennaio. «C'è una sentenza che certifica che questo dilazionare della forza pubblica in attesa di una soluzione non ha più ragion d'essere, quindi quell'ordine di sfratto deve essere eseguito - continua Farina -. Compito nostro è guadagnare tempo affinché questa trattativa possa arrivare a terra. Io sono molto fiducioso. È un pezzo della storia di Milano, del passato e del futuro». C'è poi anche la questione dei murales storici, «la Cappella Sistina della modernità» li battezzò l'allora assessore alla Cultura del Comune di Milano Vittorio Sgarbi. «È stato messo sotto tutela dal ministero dei Beni culturali, questo comporta che è patrimonio dello Stato» precisa Marina Boer dell'associazione Mamme Antifasciste.
Non ci sono stati momenti di tensione anche se si trattava del primo accesso dalla sentenza della Corte di appello civile che ha condannato il ministero dell'Interno a risarcire con 3 milioni di euro i proprietari dell'ex cartiera, la famiglia Cabassi (società L'Orologio), per il mancato sgombero. La questione tene banco in città dal lontano 1994 con lo sgombero degli autonomi da via Leoncavallo, poi l'occupazione di via Salomone, il conseguente sgombero e la «presa» dell'ex cartiera di via Watteau. Il tema è cosa fare ora, a fronte della disponibilità al dialogo dei leoncavallini, che ormai sono invecchiati, non partecipano più alle manifestazioni, non vivono lì, ma organizzano iniziative qualche giorno alla settimana: «Nel confermare ogni disponibilità al dialogo, come sempre, decide Milano». E a fronte del fatto che il sindaco Beppe Sala ha dichiarato l'intenzione a trovare una soluzione: «Se il prefetto ci chiamasse al tavolo per ricominciare a discutere, certamente ci siamo».
Tre le opzioni sul tavolo: il ricorso in Cassazione, un accordo tra le parti e l'effettiva esecuzione dello sgombero. Della regolarizzazione del Leoncavallo si era parlato con la giunta Pisapia con uno scambio di aree tra il Comune e i Cabassi: Palazzo Marino avrebbe ceduto una palazzina in via Trivulzio e l'ex scuola in via Zama in cambio dell'ex cartiera. Non se n'era fatto niente per il no del centrodestra e dell'allora presidente del consiglio comunale di sinistra Basilio Rizzo.
Ora sembra che un accordo in quei termini non sia più possibile: l'idea sarebbe quella di dare un altro spazio ai Leoncavallini in maniera regolare per potere restituire la cartiera ai legittimi proprietari, ma sembra che al momento, oltre alle buone intenzioni, non sia stata ancora individuato nessun edificio.
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