"Per fermare le partenze l'Ue pensi allo sviluppo del Nord Africa. In Libia serve stabilità"

​Il premier egiziano Mostafa Madbouly ci riceve nel palazzo che ospita la sede del suo gabinetto, uno dei tanti edifici governativi che sorgono nella Nuova Capitale Amministrativa

"Per fermare le partenze l'Ue pensi allo sviluppo del Nord Africa. In Libia serve stabilità"

Il premier egiziano Mostafa Madbouly ci riceve nel palazzo che ospita la sede del suo gabinetto, uno dei tanti edifici governativi che sorgono nella Nuova Capitale Amministrativa (NCA), in un'area di oltre 500mila metri quadrati a metà strada tra Il Cairo e la città portuale di Suez, con moschee, chiese e nuovi complessi residenziali dove «fino a sei anni fa c'era solo deserto». Al Giornale, il capo del governo spiega che oggi, tra Egitto e Italia, c'è una forte volontà politica da entrambe le parti per «far progredire le nostre relazioni, storiche e intime, con progetti comuni di industrializzazione, al servizio degli interessi di popoli amici, dal rafforzamento della presenza di imprese italiane in Egitto nei settori agricoltura e alimentazione, all'ampia cooperazione con Roma sui dossier energia e immigrazione».

Primo ministro, l'Italia, come altri Paesi, sta cercando di trovare la quadra sui flussi legali, combattendo l'immigrazione clandestina. C'è una sponda, al Cairo?

«Credo che l'unico punto che possa frenare l'immigrazione clandestina è che l'Europa si interessi allo sviluppo del Nord Africa. Se un giovane trova un buon lavoro, preferisce restare nel suo Paese. E si deve anche pensare a formare i nostri giovani nelle specialità di cui l'Europa ha bisogno».

In loco?

«Certo, anche. Di questo stiamo discutendo».

Solo una parte dei migranti viene però dall'Egitto, qual è la soluzione?

«L'immigrazione più massiccia non viene dall'Egitto. Il ritorno a una buona situazione economica di Paesi come la Tunisia limiterebbe l'immigrazione clandestina da Stati nordafricani verso l'Europa. È fondamentale la stabilizzazione dell'area, bisogna puntare anche a stabilizzare la Libia, ma poi bisogna anche mantenerla, la stabilità...».

Il mondo è sconvolto da una guerra alle porte dell'Europa. Vi aspettate ripercussioni anche in Nord Africa?

«Assistiamo alla nascita di un nuovo mondo con nuovi equilibri mondiali. È chiaro che ci sarà una nuova realtà geopolitica. L'Egitto vuole mantenere relazioni con tutte le parti. È una nostra caratteristica, e il presidente Al Sisi ci chiede questo».

Possiamo quindi parlare di equidistanza. Ma vi preoccupa la concorrenza di altre potenze regionali?

«Siamo convinti che lo sviluppo anche nei Paesi del Golfo sia da guardare con ammirazione, l'Egitto non cerca di far concorrenza ad altri Paesi arabi, siamo convinti che l'Egitto si completi con gli altri Paesi del mondo arabo».

Avete vissuto una stagione difficile qualche anno fa, temete altri sommovimenti interni, magari orchestrati dall'estero?

«Sono in politica da tanto tempo e conosco bene la situazione. Ancor prima di essere nominato premier abbiamo avuto un problema con i Fratelli musulmani (il movimento politico-religioso nato in Egitto, di cui era espressione l'ex presidente Morsi, deposto nel 2013, ndr). Vogliono trasformare un popolo moderato in un Paese diverso, ma il popolo egiziano ha rifiutato il tentativo della Fratellanza di cambiare la natura del popolo egiziano».

Ankara ammicca all'islam politico, eppure con la Turchia ci sono tentativi di normalizzazione dei rapporti. Come stanno le cose?

«Comprendiamo la forza della Turchia nella regione, Il Cairo e Ankara hanno relazioni storiche. Ma i problemi dell'ultimo periodo sono legati al supporto della Turchia ai Fratelli musulmani, che l'Egitto sta invece cercando di eradicare».

Perché?

«L'influenza dei Fratelli Musulmani o di qualsiasi altro movimento estremista basato sull'idea di dividere la società è una minaccia grave, anche per l'Europa. L'idea di manipolare e sfruttare la religione per affermare un pensiero politico o qualche altro obiettivo è il virus più pericoloso che può colpire i Paesi. Dobbiamo combatterlo insieme. La Seconda guerra mondiale ci dovrebbe servire da lezione. Tutti i disastri del mondo sono sempre venuti da un gruppo che rivendica uno status diverso, una superiorità, e inizia a cercare di imporre quel pensiero».

Resta il nodo Sinai, dove l'Isis e altri gruppi provano da tempo a destabilizzare l'area. C'è questo rischio?

«Nel Sinai gli estremisti volevano instaurare un califfato, ma la verità è che non è una guerra semplice o convenzionale. Abbiamo scoperto un sostegno ampio a opera non di un semplice gruppo, ma di organismi professionali. Abbiamo già perso 3mila egiziani, tra soldati, poliziotti, civili. Ci sono cellule dormienti. Una delle ragioni per cui certi giovani abbracciano ideologie estremiste risiede nella povertà e nella marginalizzazione, per questo ci siamo imposti il miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini».

State investendo in progetti faraonici, la sovrappopolazione vi spaventa?

«Da qui a 25 anni prevediamo di arrivare a 135 milioni di abitanti, alcune previsioni dicono 150 milioni entro il 2050. Perciò stiamo costruendo nuove città. Avevamo un problema con le bidonville selvagge, abbiamo offerto agli abitanti costruzioni salubri, e stiamo continuando a edificare in varie regioni del Paese, per trasferire parte della popolazione in aree più sicure con progetti giganteschi di sviluppo urbano».

Per esempio?

«La strategia del presidente Al Sisi è anzitutto quella di modernizzare le zone rurali, investire in infrastrutture per migliorare la vita nei villaggi attraverso la canalizzazione delle acque, e stiamo lavorando alla desalinizzazione dell'acqua del mare. Per il governo è una priorità la formazione delle giovani generazioni, stiamo ammodernando l'educazione e la sanità e investendo in nuove tecnologie».

Quali opportunità offre l'Egitto per attrarre investimenti esteri?

«Lo Stato ha previsto agevolazioni e incentivi negli ultimi tempi, soprattutto nel settore industriale, che hanno attratto grandi aziende internazionali, ultima delle quali la tedesca Bosch per la produzione di elettrodomestici, che ha posato la prima pietra della sua fabbrica pochi giorni fa. Continuiamo a fornire supporti per l'ottenimento di terreni, licenze, ecc».

C'è pure una vostra corsa all'idrogeno verde, ci sono progressi sull'export?

«Ci sono progetti congiunti (anche con l'Italia, ndr) per la produzione di idrogeno verde usando l'elettricità da fonti rinnovabili, e idrogeno blu attraverso lo stoccaggio di CO2 in giacimenti di gas naturale esauriti. Se ci riusciamo, l'Italia può diventare un hub per l'Europa. A oggi abbiamo un mercato promettente e accordi distinti di esportazione con i Paesi continentali».

I diritti delle donne, in alcune zone, sono invece ancora un tabù. Che piani avete?

«Urge anche criminalizzare i matrimoni delle spose bambine nelle zone rurali.

Molte famiglie usano ancora le figlie per fare cassa, dobbiamo assolutamente fermare queste pratiche. Siamo altresì convinti che l'autonomia delle donne egiziane darà un contributo per ridurre la sovrappopolazione. Se si realizzano negli studi, nel lavoro e nella vita non sentiranno più il bisogno di fare tanti figli».

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