Finita la condanna all'oblio È il merito del film su Craxi

Finita la condanna all'oblio È il merito del film su Craxi

A bbiamo dovuto aspettare vent'anni perché nel muro della damnatio memoriae eretto attorno alla figura di Bettino Craxi si aprisse un varco. Abbiamo dovuto sperimentare che cosa significhi consegnare le redini del paese nelle mani di politici improvvisati per sentire la nostalgia dei politici d'antan. Abbiamo dovuto vedere l'Italia declassata a fanalino di coda dell'Europa per rimpiangere i tempi in cui era considerata la quinta potenza mondiale. Abbiamo dovuto aspettare il ventesimo della morte perché del leader socialista si tornasse a parlare, facendolo uscire dal cono d'ombra in cui è stato eclissato per questi lunghi anni.

Lo spunto non è politico, ma cinematografico: è appena uscito nelle sale il film Hammamet, con un titolo che riconduce immediatamente al luogo d'esilio in terra tunisina, ultimo rifugio di Craxi. E questo non a caso!

Il regista Gianni Amelio dedica solo pochi, rapsodici riferimenti, potremmo dire di rimando, alla sua opera di politico e di statista. Sono passaggi in cui emerge l'ossessiva, angosciosa e disperata ricerca da parte dell'ex leader, caduto in disgrazia, di trovare una ragione per la situazione in cui il suo partito e lui stesso si sono trovati, costretti a giustificare azioni e comportamenti davanti a un'Italia inferocita contro la classe politica.

La diegesi filmica è tutta rivolta alla figura di Craxi negli anni del declino e della malattia; alla parabola che trasforma il primo presidente del consiglio socialista, nell'imputato per il finanziamento illecito del partito, esempio paradigmatico della corruzione politica.

È stata, crediamo, una scelta felice per più ragioni. Risulta difficile pensare a un film incentrato sulla «narrazione» della sua politica, sebbene decisiva per quegli anni. L'aver privilegiato il risvolto privato della sua vita, in particolare dell'ultimo tempo, il più doloroso, ha conferito alla ricostruzione una tale drammaticità da suscitare nello spettatore un sentimento di umana compassione. È stato, questo, forse il modo migliore per non toccare direttamente il periodo di Tangentopoli che avrebbe suscitato nello spettatore un inevitabile e pregiudiziale cortocircuito, sovrapponendo il politico Craxi all'uomo nella memoria degli italiani.

Qual è l'importanza di questo film, al di là del suo valore estetico? L'aver smosso un interesse che, ci auguriamo, porti a una revisione dei giudizi, spesso impietosi, e la fine della demonizzazione del leader socialista, per ora solo scalfita da una riabilitazione per lo più monca e spesso pronunciata solo a mezza voce. Il suo è forse l'unico caso nella lunga storia d'Italia di un politico di prima grandezza vittima di una damnatio senza appello per sé e per il partito di cui è stato leader.

Sono stati numerosi i nostri governanti finiti in storie di corruzione e di sospetti finanziamenti illeciti (a cominciare da Francesco Crispi e Giovanni Giolitti), ma nella memoria dei posteri è rimasto il loro complessivo operato politico, non segnato dallo stigma di un'etica negativa. Altro è stato per loro il metro di giudizio: politico e non giudiziario. Risolvendo invece l'azione politica Craxi a mera storia criminale per aver fatto ricorso al finanziamento illegale del partito (pratica corrente dell'intero nostro sistema politico), significa anche piegare l'intera storia repubblicana a romanzo criminale, con buona pace delle conquiste economiche e politiche, in termini di benessere, di libertà e di democrazia, ottenute a partire dal 1945.

La vera questione da porre, se almeno si vuole uscire dalle secche del giustizialismo e del moralismo, oggi imperanti, sarebbe un'altra: cercar di capire se Craxi fu solo il più corsaro dei praticanti di quell'illecita modalità di finanziamento, seguita dai partiti della Prima Repubblica; se la sua opera da leader del socialismo italiano e da presidente del consiglio fu positiva o meno ai fini della crescita economica e civile del paese e del consolidamento della democrazia italiana; se fu un aspirante dittatore o uno statista modernizzatore; se piegò il suo ambizioso disegno di ridimensionamento dei due maggiori partiti nazionali la Dc e il Pci al bisogno di arricchimento personale o si servì dei copiosi mezzi finanziari procuratisi col finanziamento illecito per coltivarlo.

Sono questi i quesiti che ci sembrano degni di esser posti per storicizzare finalmente l'operato di un personaggio che, piaccia o meno, ha segnato nel profondo la recente storia politica nazionale.

C'è bisogno di una verità che faccia bene non solo a Craxi, ma anche agli italiani.

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