In amor vince chi fugge. Tra Matteo Renzi e Carlo Calenda il matrimonio s'ha da fare e si farà. I due si sono messaggiati tutto il giorno, ed è probabile che stasera si vedranno per fare il punto e chiudere in tempo l'accordo. «Se facessero subito la pace i giornali cosa scriverebbero», maligna una fonte vicina a Forza Italia, che sottolinea: «L'attacco al nostro fortino di voti andrà a vuoto o quasi».
Poi c'è Calenda. «Con Renzi stiamo parliamo di tutto, dei collegi e di cosa vogliamo fare», dice l'ex ministro dello Sviluppo. «Ma la sua credibilità se l'è bella che giocata, e «anche questo balletto sulle firme non gioca a favore», sibila un calendiano. La sbruffonata di dire «Azione non deve raccogliere le firme, lo dice il Parlamento europeo» è durata lo spazio di un tweet, finché qualcuno dell'entourage di uno dei transfughi di Forza Italia non ha fatto presente che le firme servivano, eccome. «C'è un popolo sfiduciato che guarda a Mario Draghi, vogliamo ripensare il bipolarismo. Vedrete, dopo il 25 settembre succederanno tante cose». Qualcun altro ironizza sul «pendolo di Calend», emulo del pendolo di Foucalt. «Solo che qui a ruotare non è la Terra eh...», si lascia sfuggire una delle persone che sta trattando la delicatissima partita.
«È Calenda che rischia di restare col cerino in mano...», dice una fonte di Azione. Al momento tutte le strade rimangono aperte. Renzi vorrebbe insistere per evitare un «teatrino modello Letta», non avrebbe avanzato preclusioni sulla leadership che invece Calenda reclamerebbe, mentre l'ex premier si è già detto disposto a farsi da parte. Dal partito di Renzi solo bocche cucite. «C'è una casa comune a Bruxelles che si chiama Renew Europe - dice l'ex premier - Se vogliamo costruirla anche in Italia, noi siamo della partita. Sarebbe un'occasione straordinaria». «Ma il cuore della trattativa non sono le liste», assicurano.
Siccome in amor vince chi fugge è Calenda quello che si sta facendo desiderare. Il leader di Italia Viva deve fronteggiare non solo l'apparente freddezza del probabile alleato («Raccogliere in due giorni le firme senza una lista è impossibile, i due l'hanno capito...») ma anche e le resistenze di chi, dentro il partito, non ci sta a farsi dettare troppe condizioni: «Ma il Terzo polo richiede generosità e impegno», avrebbe detto Renzi ai suoi. La partita non finisce il 25 settembre, ma parte dalle Regionali in Lombardia e nel Lazio, dove gli emissari di Azione e Iv si stanno già muovendo. A Milano si dà per fatto l'ingresso di Gabriele Albertini («cerca visibilità, ma qualche voto ce l'ha ancora»), Letizia Moratti e pare gli ex azzurri legati al giro ciellino di Mario Mauro e Roberto Formigoni. Nomi di peso in grado di complicare la riconferma del centrodestra al Pirellone. Nel Lazio «lo strappo tra Pd e M5s è difficilmente ricucibile, e senza i nostri voti il Pd andrà in tilt».
Ma prima bisogna entrare in Parlamento. Col 5% se va bene il listone il Terzo polo ne potrebbe eleggere una quindicina, tra sette e dieci alla Camera e 4-6 al Senato. In tanti scalpitano, da Mara Carfagna a Maria Stella Gelmini («Vedremo se Renzi è disposto ad affrontare con noi questa sfida», dice), da Maria Elena Boschi a Elena Bonetti. Molti erano pronti a sfidare i big nei collegi uninominali, forti anche dell'alleanza già sancita con la Lista civica nazionale di Federico Pizzarotti e la lista Moderati di Mimmo Portas che rassicurerebbe Renzi in caso tutto saltasse all'ultimo minuto. La proposta 50-50 sulle candidature è stata avanzata ieri da Calenda. Per Renzi non sarebbe un problema ma bisogna gestire la delicata questione della parità di sesso, tema cui l'ex premier attribuisce rilevante importanza. Una delle ipotesi sarebbe infatti un inedito ticket al femminile Carfagna-Bonetti.
C'è anche il problema del simbolo: Renzi vorrebbe il suo nome, Calenda anche. Come uscirne? Domani Renzi è atteso alla Versiliana a presentare il libro ed è presumibile che lo farà avendo chiuso la questione. Al vertice di stasera l'ardua sentenza.
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