Si potrebbe chiamare «logistica dei rimpatri». Quella che da almeno due decenni in Italia e nel resto d'Europa non funziona soprattutto per mancanza di strutture ad hoc. Non è infatti solo una questione di alti costi (circa 2.500 euro a migrante con almeno due agenti per ogni espulso imbarcato su un charter) ma più spesso di accordi bilaterali (che potrebbero presto diventare effettivi con l'Ue) per riconsegnare al Paese di appartenenza chi è entrato illegalmente in Europa e non ha diritto di cittadinanza perché non ottiene né asilo né protezione di alcun genere. Due elementi su cui il governo Meloni ha insistito fin da subito, coinvolgendo anche Von de Leyen nelle missioni in Nordafrica per oliare la collaborazione, finora affidata a patti bilaterali. Con alcuni Paesi funziona, con altri è ancora da costruire. Ma è l'intero sistema di accoglienza a essere stato fallace negli ultimi anni, ragion per cui il Viminale ha via via inaugurato una rivoluzione. Risultato: nelle ultime 5 settimane, rimpatriati 437 migranti illegalmente presenti. Un record, che segue quello dello scorso anno. Mentre nel 2022 la media italiana era del 18% sul totale dei permessi negati (e la Francia, ferma attorno al 21%).
La strategia Piantedosi punta a togliere dalla strada chi non ha un permesso di soggiorno. Che può macchiarsi anche di reati, nel frattempo. Perché nella maggior parte dei casi, dopo un breve trattenimento, per anni è stato rilasciato un semplice foglio di via. Facile da aggirare. Un treno e ci si allontanava. Da Sud verso Nord. Con le ire di Francia e Germania. L'ultimo decreto del governo, del 7 maggio, amplia l'elenco dei Paesi sicuri in cui riportare i migranti inserendo per esempio il Bangladesh oltre all'Egitto, e accelera di fatto le possibilità di espulsione, limitando così pure gli impatti dei ricorsi; quelli suggeriti agli irregolari da sigle per i diritti umani, col risultato di intasare le procure e ritardare le procedure che lo Stato potrebbe mettere in campo, vedendosi costretto a lasciare i migranti in un limbo, da cui spesso fuggono per cercare una via alternativa all'espulsione.
C'è poi il provvedimento dello scorso ottobre, che modifica il termine di trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri, alzato fino a 18 mesi. Ma da quando è in carica l'esecutivo di centrodestra non c'è stato giorno in cui, a fronte dei decreti per limitare l'impatto dell'immigrazione clandestina sulla sicurezza, la sinistra Pd e del duo politico Bonelli-Fratoianni non sia insorta per osteggiare la strada imboccata dal Viminale per potenziare le espulsioni: quella soprattutto dei Cpr, strutture di permanenza controllate a vista, che negli anni hanno cambiato spesso nome, funzione, gestione, ingenerando caos nella già complessa macchina amministrativa che invece il governo punta a riformare. E che dovrebbe portare infine alle espulsioni coatte più veloci. «Presto un secondo Cpr a Milano», ha annunciato ieri il sottosegretario all'Interno, il leghista Moltheni.
Un Cpr in ogni regione, è stata la promessa del ministro, proprio per evitare le dirette conseguenze d'avere sul territorio cittadini extracomunitari che non avrebbero diritto di cittadinanza secondo le leggi europee, né in Italia né in altri Paesi Ue. L'ultimo caso di aggressione, che a Milano ha avuto come protagonista un migrante sbarcato illegalmente, ha visto invece il sindaco Sala scendere in campo con una domanda, rivelatasi un boomerang per il suo campo: ha chiesto all'esecutivo perché Hamis fosse a spasso e non rimpatriato, essendo un marocchino già destinatario di decreti di espulsione non attuati per mancanza di posti nei Cpr.
Una contraddizione evidente, fra i dem, che hanno sempre osteggiato il trattenimento di migranti, mentre l'esecutivo vuole riformare i centri colabrodo e implementare i Cpr. Negli 8 attivi, 562 posti disponibili. Ragion per cui sono partiti i sopralluoghi per attivare le strutture albanesi (e nuove polemiche). E altri sono in ristrutturazione.
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