Il grido «morte a Israele» si è alzato dopo un lungo applauso per l'intervento del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, accorso ai funerali del presidente dell'Iran Ibrahim Raisi «a nome del popolo palestinese e delle fazioni della resistenza di Gaza». Il leader politico del gruppo estremista artefice della strage del 7 ottobre era in prima fila all'università di Teheran, dove si è svolta la cerimonia di addio al capo dello Stato iraniano, al ministro degli esteri Hossein Amirabdollahian e alle altre sei persone morte domenica 19 maggio, dopo «un guasto tecnico» all'elicottero su cui viaggiavano, al confine con l'Azerbaijan. E si è detto certo che la Repubblica islamica «continuerà a sostenere la Palestina». A condurre la preghiera, dopo che una folla imponente ha accompagnato i feretri dei defunti lungo le vie di Teheran, è stata la Guida suprema Ali Khamenei, massima autorità in Iran. In pole position anche il numero due del gruppo islamista libanese Hezbollah, Naim Qassem. Ed è la triade Khamenei-Haniyeh-Qassem a restituire al mondo l'immagine plastica di «un'asse della resistenza» contro Israele, sotto la regia iraniana, che è al momento più salda e insidiosa che mai, non solo per lo Stato ebraico ma anche per tutta la regione mediorientale. Khamenei ha anche incontrato in separata sede Haniyeh, un riconoscimento speciale riservato al leader di Hamas di cui l'ufficio della Guida Suprema ha diffuso le immagini, fra strette di mano, abbracci e sorrisi. Presenti anche il premier dell'Iraq, Mohammed Shia al-Sudani e il vice primo ministro cinese, Zhang Guoqin, che nei giorni scorsi ha espresso le sue condoglianze per la morte di «un buon amico del popolo cinese». Raisi dovrebbe essere sepolto oggi a Mashhad, sua città natale nel nord-est dell'Iran, verso la quale sono stati organizzati treni speciali da Teheran. Domani si concluderanno i cinque giorni di lutto proclamati nel Paese dopo la tragedia.
In Rete, intanto, non smettono di fioccare video e immagini di chi, al contrario, festeggia per la morte del «macellaio» Raisi, un anno prima della scadenza del suo mandato. Si tratta ovviamente delle vittime della repressione del presidente, dopo il quale si apre una battaglia per la successione in vista delle elezioni presidenziali fissate per il 28 giugno. C'è fretta di colmare il vuoto di potere ed evitare che riemerga ogni forma di protesta, nonostante l'insoddisfazione degli iraniani per l'economia e il pugno di ferro delle autorità. I candidati alla presidenza dovranno ottenere il via libera del Consiglio dei Guardiani, che in linea con l'ufficio dell'ayatollah Khamenei, ha il compito di chiudere la porta ai candidati considerati troppo riformisti e ai moderati mal visti all'estabilishment. Tra i possibili candidati c'è Mohammed Mokhber, attuale presidente ad interim, considerato vicino a Khamenei e membro della delegazione iraniana che a ottobre si è recata a Mosca e ha accettato di fornire missili e altri droni all'esercito russo. Ci proverebbe per la quarta volta anche Mohammad Bagher Ghalibaf, ex sindaco di Teheran e Speaker del Parlamento. Potrebbe provarci anche Ali Larijani, conservatore della prima ora, poi alleato del presidente Rouhani, un «moderato» per gli standard iraniani. In lizza potrebbe esserci anche Mohammad Javad Zarif, architetto dell'intesa del 2015 con gli Usa sul nucleare, ma osteggiato da conservatori, pasdaran e Consiglio dei Guardiani.
Più quotato Saeed Jalili, oltranzista, capo del Consiglio supremo di Sicurezza ed ex capo della delegazione per i negoziati sul nucleare. Ci ha già provato due volte nel 2013 e nel 2021, ma ora dovrebbe avere più chance.
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