Davide Casaleggio difende la memoria del padre Gianroberto che non c'è più e non può difendersi. Ma dalla Spagna continuano ad arrivare pezzi del racconto di Hugo Carvajal che conferma le accuse e rilancia: «Mentre ero direttore dell'intelligence militare e del controspionaggio in Venezuela ho ricevuto un gran numero di rapporti che indicavano che si stava verificando un finanziamento internazionale». L'ex capo degli 007 di Chavez descrive diverse situazioni ma cita anche i 5 Stelle italiani. E afferma che il regime di Caracas avrebbe mandato al Movimento una valigetta con 3,5 milioni di euro.
Vero? Falso? Forse, solo calunnie e veleni, però molto dettagliati. Certo, un racconto senza riscontri non va da nessuna parte, ma la magistratura spagnola ha gli strumenti per avviare almeno le verifiche. E Carvajal ha tutto l'interesse ad apparire convincente: dopo un primo arresto nel 2019 era riuscito a far perdere le proprie tracce ma è stato riacciuffato il 9 settembre scorso in un appartamento di Madrid. E ora se la gioca per evitare l'estradizione nelle poco confortevoli carceri americane. Gli Usa gli danno la caccia dal 2011 e la partita è a un tornante decisivo.
Dovesse risultare inaffidabile, Carvajal verrebbe scaricato in un attimo e abbandonato al suo destino. Lui invece ricostruisce le tessere del puzzle e le offre ai giudici di Madrid: «Un altro esempio dei tanti movimenti comunisti nel mondo finanziati da Maduro e di cui ho ricevuto una dettagliata relazione, è quello relativo al Movimento 5 Stelle per mano di Gianroberto Casaleggio che è stato segnalato dall'Addetto militare del Venezuela in Italia dove si è saputo che è stata inviata una valigia con 3,5 milioni di euro in contanti».
Certo, Carvajal non sarebbe testimone diretto di questo passaggio di denaro, ma indica chi avrebbe gestito l'operazione: l'allora ministro dell'interno Tareck el Aissami, con la supervisione di Maduro.
E qui si apre un altro scenario: Tareck el Aissami non è uscito di scena, ma è una delle colonne portanti del regime di Maduro. Oggi è ministro delle Industrie e della produzione nazionale; insomma è ancora saldamente in sella e non è scappato all'estero, come i tanti big che per una ragione o per l'altra hanno trovato rifugio in Europa, Italia compresa; gli Stati Uniti lo ritengono una delle figure chiave del narcotraffico. E per questo hanno messo una taglia di 10 milioni di dollari sulla sua testa. E il New York Times scrive che el Aissami e i suoi parenti, sfruttando le origini arabe, «hanno aiutato militanti di Hezbollah ad infiltrarsi nel Paese».
Questioni complesse che da Caracas portano all'inquieta periferia di Beirut, in Libano, e al movimento sciita che ha i suoi padrini in Iran. Casaleggio junior smentisce su tutta la linea in una lettera a Sergio Mattarella: «Buttare fango su una persona scomparsa credo sia una delle azioni più vili che si possano fare. Mio padre ha fatto politica sempre con spirito francescano e non ha mai preso denaro dal governo del Venezuela. Già l'anno scorso si è dimostrato che il documento portato come prova era stato contraffatto con Photoshop». E Giuseppe Conte si schiera con lui: «Casaleggio è stato vilipeso. Davide fa bene a querelare».
Il tema investe la politica e costringe a rileggere l'inspiegabile e avventurosa linea tenuta dai Cinque Stelle negli anni scorsi: la strenua difesa del regime illiberale e corrotto di Caracas, scaricato da tutti i partner europei ma sostenuto nel cruciale 2019 proprio dall'allora premier Conte. Più vicino al Venezuela e a Pechino che agli Usa e ai nostri storici alleati.
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