Gino, il veneto che insegnò al Che a sparare

Da San Donà all'Avana, fu l'unico europeo a prendere parte alla "Revolución"

Gino Donè all'Avana nel 2004, in un abbraccio con Fidel Castro
Gino Donè all'Avana nel 2004, in un abbraccio con Fidel Castro

Ora che la rivoluzione castrista è al tramonto, che quell'«Hasta la victoria siempre» si è cristallizzata nel tempo dei gadget, Cuba rispolvera i suoi ricordi e tra le pagine ricompare la storia del signor Gino Donè. Classe 1924, figlio del Veneto poverissimo di inizio secolo Gino è stato l'unico europeo a partecipare alla rivoluzione a fianco di Che Guevara, Raùl e Fidel Castro; l'unico a far parte degli 82 del Granma, la storica nave che i rivoluzionari usarono nel 1956 per raggiungere Cuba dal Messico. «Fu lui a insegnare a Che Guevara a sparare», racconta il suo amico Giovanni Cagnassi, giornalista della Nuova Venezia . Gino entra nella storia quasi per caso. Ce l'ha nel sangue l'essere combattente, il suo destino si mischia con la sua terra. San Donà di Piave - che domani inaugura il suo nuovo teatro da 500 posti, con Matteo Renzi che taglierà il nastro- è città due volte martire: distrutta nella Prima guerra Mondiale quando nell'ottobre 1917 il fronte si fermò sul Pave, viene pesantemente bombardata anche nel Secondo conflitto mondiale. È sul fronte che Gino fa esperienza come soldato, tanto da ricevere un encomio personale dal generale Harold Alexander, comandante inglese in capo del fronte italiano. A Cuba Gino ci arriva dopo la guerra per fare il manovale, diventa amico di Hemingway affascinato da sempre dal Piave. Pensa di aver accantonato gli anni di battaglia, quando lottava contro i nazisti. E invece il destino lo aspetta con un fucile in mano. La moglie di Gino è un'amica carissima di Aleida March, moglie di un giovane medico argentino: Ernesto Che Guevara. Il passaporto italiano lo rende una pedina perfetta. È lui infatti che viene scelto per andare in Messico con una le tasche piene di soldi, 20 mila dollari da portare ai rivoluzionari. Incontra Fidel Castro che si innamora di questo italiano sveglio e capace, a cui piace bere e stare in compagnia, con una buona dose di coraggio e spirito per l'avventura. E -cosa non da poco- con una grandissima esperienza nella guerra. «Gino sei dei nostri!» gli dice Fidel. «Mi ha più volte raccontato che era l'unico che sapeva sparare tra loro- ricorda Giovanni. Per questo i fratelli Castro lo scelgono. Lui diceva sempre: il mio Raulito». Gino però è più anarchico che fedele alla linea e dopo la rivoluzione finisce negli Stati Uniti. L'uomo è di quelli che vivono per l'avventura, libertario, che crede nel profumo dei sogni: non passerà mai all'incasso per quell'impresa. «Era tenente, per lui era pronta una carriera da generale, ai vertici del governo, ma lui non accettò mai, preferì dileguarsi e andare in Florida. Eppure gli anni del Messico sono stati un collante fondamentale tra loro. A Cuba, tra le mangrovie in mezzo alla Sierra, Gino è ancora una volta la loro salvezza. Che Guevara malato di asma è in grave difficoltà. L'ordine di Fidel è per Gino: “Vai a riprendermi il Che“». Resta il suo nome al museo de L'Avana vicino a una stele; negli anni '70 a Miami gli arriva una telefonata inaspettata. Cuba lo aspettava per l'anniversario della rivoluzione. «Gino mi raccontava con commozione quel giorno. Lui riesce con qualche difficoltà a lasciare gli Stati Uniti e arrivare a L'Avana. Quando scese dalla scaletta dell'aereo la sorpresa: ad attenderlo c'era una macchina presidenziale con autista, il tappeto rosso, la banda che suonava. Gino era l'eroe che Cuba non aveva mai dimenticato e che ora celebrava. E lui pensava di partecipare alla celebrazione come uno qualunque». Nel 2004 Gino viene solennemente decorato. «Lui fa il saluto militare al lider Maximo, lui lo guarda e gli dice: “ma vieni qui e abbracciami“».

Ancora oggi Cuba aspetta le sue ceneri per seppellirlo vicino a Che Guevara. Nel 2008, quando il tenente libertario muore in patria, a San Donà arrivano quattro grandi corone di rose, dall'ambasciata di Cuba, dai suoi compagni del Granma, da Raul e da Fidel Castro: «A Gino».

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