Dario Franceschini è preoccupato. Non si sa bene se come lettore, scrittore o ministro della Cultura. Anzi, a dirla tutta, è «molto preoccupato». Lo dice in giro, ai suoi collaboratori, alle agenzie di stampa, a chi gli capita a tiro. Quello che lo turba non è la Barcaccia del Bernini stuprata dagli hooligans di Rotterdam. No, non è la fontana di Piazza di Spagna. È la notizia che forse la Mondadori potrebbe acquistare Rcs Libri. La tragedia delle tragedie e pazienza se in tutto il mondo le case editrici si sposano per sopravvivere. «Ci sono - dice - organi e Autorità che valuteranno in base alle norme tutti i profili dell'operazione. Ma non c'è settore più delicato e sensibile per la libertà di pensiero e di creazione del mercato dei libri». A quanto pare, insomma, Franceschini non si fida di una Mondadori troppo forte. Mondadori infatti per il ministro ha il cognome sbagliato. È di Berlusconi. Berlusconi il censore? Deve essere un altro. Forse Franceschini non sa che Mondadori ha pubblicato di tutto, rispettando tutti. Una breve lista: da D'Alema a una grande fetta della redazione di «Repubblica», gente come Scalfari, Concita De Gregorio, Rampini, non certo amici di Berlusconi. Ha scoperto e pubblicato Saviano. Ma non è questo il punto. Il ministro dovrebbe sapere che non c'è libertà di pensiero senza libertà di mercato.
E non ci sono libri senza editori in grado di pubblicarli. Il sospetto è un altro. Forse il ministro, che ha pubblicato cinque libri per Bompiani, proprietà della Rcs, teme per la sua carriera di scrittore. E se gli editor di Segrate poi mi bocciano?
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