Francia, ora scatta la rivolta dei poliziotti. Ma il Paese è diviso sugli agenti "violenti"

Sotto accusa per le maniere forti contro i manifestanti, in molti scioperano e si danno malati. Il capo: "Per loro niente carcere"

Francia, ora scatta la rivolta dei poliziotti. Ma il Paese è diviso sugli agenti "violenti"
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Il contagio della rabbia stavolta è nelle caserme. Parigi, Marsiglia, Nantes, Strasburgo. Interi commissariati in sciopero, picchetti dei sindacati, interviste tv al vetriolo. La polizia francese ha aperto un nuovo fronte di tensione, contro un governo accusato di non sostenere a sufficienza le ragioni degli agenti: due tuttora in carcere, in attesa che la magistratura faccia chiarezza sulle loro azioni. Perché dopo la rivolta delle banlieue sono finiti sotto accusa una schiera di poliziotti, sospettati d'aver usato le maniere forti contro chi stava mettendo la Francia in ginocchio causando 1 miliardo di danni stimati.

Da quando la procura di Marsiglia ha iniziato a indagare per l'azione muscolare denunciata dal 22enne Hami (nella notte tra il 1° e il 2 luglio avrebbe ricevuto un proiettile di gomma alla tempia e sarebbe stato picchiato e lasciato a terra) la Francia è in cortocircuito; culminato con la presa di posizione del Direttore generale della polizia (Dgpn), Frédéric Veaux, che domenica ha chiesto il rilascio dell'agente in custodia cautelare: «Saperlo in prigione non mi fa dormire la notte»; «credo che prima di un eventuale processo, un poliziotto non debba andare in carcere, anche se ha commesso sbagli o errori gravi nell'ambito del suo lavoro».

Giovedì la procura aveva infatti incriminato i 4 poliziotti della Bac di Marsiglia per violenza volontaria aggravata commessa in gruppo, con l'uso o la minaccia di un'arma e da titolari di pubblici poteri nell'esercizio delle funzioni. Tre sono stati rilasciati sotto controllo giudiziario, col divieto di esercitare; il quarto, spedito nel penitenziario di Aix-Luynes. Decisione che ha innescato un vortice di tensioni tra toghe e divise, e il governo è in impasse.

«È l'ultima goccia, i criminali vengono lasciati fuori, ma appena viene coinvolto un poliziotto viene preso in custodia». È di Linda Kebbab, del sindacato Unit-Sgp, uno dei tanti j'accuse sintesi della protesta. Le divise denunciano un «doppio standard». Criminali fuori e agenti in carcere. Due in un mese: dopo la galera per l'ufficiale responsabile della morte di Nahel. Per protesta, sempre più poliziotti si danno malati (col sospetto che i medici firmino per solidarietà).

Il governo cammina sulle uova. Dopo le parole ondivaghe di Macron (il presidente ha inneggiato «all'ordine, ordine e ordine», spiegando che nessuno «è al di sopra della legge» e ricordando la «deontologia professionale»), ieri è toccato alla premier prendere in mano la patata bollente. Elisabeth Borne, da equilibrista, spera che «la giustizia possa svolgere serenamente il lavoro». Ringrazia gli agenti («bisogna rendergli omaggio») e offre generico «sostegno». Nessuna presa di posizione sulle loro richieste.

Tanto basta per far insorgere la sinistra. Jean-Luc Mélenchon denuncia l'ambiguità del duo Macron-Borne: «Si schierino, con o contro la ribellione?». I magistrati denunciano attacchi all'indipendenza. «Fanno due pesi e due misure», insistono le divise, rivendicando l'introduzione di uno statuto particolare per poliziotti in servizio: niente carcere fino al termine delle indagini. Presunzione di legittima difesa. Fabien Vanhemelryck, n.

1 di Alliance Police, vuole un segnale, «stop alla politica dello struzzo». Ma il Guardasigilli Dupond-Moretti conferma: «Nessuno è al di sopra della legge». Silenzio assordante del ministro dell'Interno Darmanin (pro-divise).

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