Meloni soddisfatta per la tenuta dei suoi. Resta solo la rabbia per l'occasione persa

Leali, coerenti, ma anche soli e arrabbiati. Chiuso il capitolo del Quirinale, il day after di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d'Italia è ricco di contrasti

Meloni soddisfatta per la tenuta dei suoi. Resta solo la rabbia per l'occasione persa

Leali, coerenti, ma anche soli e arrabbiati. Chiuso il capitolo del Quirinale, il day after di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d'Italia è ricco di contrasti. La rabbia per l'occasione persa, per il fuoco amico, per una elezione che, secondo Fdi e la sua leader, si è chiusa barattando i sette anni al Colle del Mattarella bis con sette mesi di stipendio di parlamentari troppo attaccati alle loro poltrone, come ha ringhiato Meloni intervistata dal Corriere della Sera. Restano però la soddisfazione di essere entrati in partita con un piano e di aver tenuto fermo il timone fino alla fine, anche se la rotta, poi, non ha condotto in porto la nave del centrodestra, che anzi si è spaccata in due.

Restano i ragguardevoli risultati raccolti dai «candidati» scelti da Fdi, Crosetto prima e Nordio l'ultimo giorno, entrambi capaci di andare ben al di là dei numeri dei grandi elettori del partito di Meloni. Un segnale, appunto, per la Lega, e per tutto il centrodestra che, in Parlamento, è da «rifondare», come spiega la presidente e come ribadiscono i suoi, compatti intorno alla leadership di Giorgia nonostante le cose siano andate come sono andate, e pronti, anche se le elezioni anticipate sono sfumate anch'esse, a mettere sul banco la propria coerenza e la fedeltà alla coalizione, al momento di ridiscutere a chi tocchi condurre l'alleanza che non c'è più nel Palazzo ma che, come insiste Meloni, è maggioranza nel Paese.

In fondo al voto si tornerà comunque, e quando la parola ce l'avranno gli elettori Fdi conta che la propria intransigenza, l'essere l'unica forza di opposizione al governo di unità nazionale, l'aver tentato fino in fondo di far salire al Colle un nome di area, si traducano nella consegna delle chiavi per guidare il rifondato centrodestra e, chissà, anche il Paese. Il fallito assalto al Quirinale, insomma, potrebbe portare frutti a più lungo termine, anche considerati gli inciampi riportati nell'operazione da Matteo Salvini, finito infatti prima ancora del voto decisivo nel mirino della Meloni. La partita, adesso, sta tutta nel tenere unite le truppe fino alle urne, sperando che gli (ex?) alleati nel frattempo non facciano scherzi proporzionali sulla legge elettorale.

E al momento, tutti sono allineati: da Ignazio La Russa a Luca Ciriani, da Rampelli a Donzelli, il coro è perfettamente a tono con la musica suonata dalla presidente: il centrodestra siamo noi, che al governo con il Pd non ci siamo mai stati. La crisi d'identità, semmai, riguarda gli altri.

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