La fronda Pd cala le braghe Renzi ai suoi: qui comando io

I bersaniani mollano D'Alema al suo destino: noi restiamo. Il premier fa la voce grossa: chi perde e va via non mette in discussione le primarie ma il partito

La fronda Pd cala le braghe Renzi ai suoi: qui comando io

Che cosa distingue barricadero da barricadero? Da quando la rivoluzione si fa in salotto - peggio: da quando nel Pd aleggia il fantasma del Gran Sabotatore - la linea di demarcazione passa attraverso sentieri striminziti. «Oggi è entrata in vigore la nuova normativa contro le dimissioni in bianco: questo significa essere di sinistra», dice il maestrino Renzi ai giovanotti di Classedem, allevamento di quadri pidini. E ancora, gli 80 euro. E le primarie: «Discutiamo su tutto, va bene. Ma è offensivo per la democrazia, mettere in discussione il principio. Non concedo mezzo millimetro, perché l'alternativa sono i cento capibastone del passato. Se io sono qui è perché ho vinto quelle del 2013, ma anche perché ho saputo perdere quelle del 2012... Quando sono rimasto a sostenere chi le ha vinte, e non è stato facile dopo che mi venivano a dire, qui qualcosa non torna. Dissi se si poteva avere il verbale di una regione, indovinate quale, mi dissero di no, i verbali sono stati bruciati...».È un fiume in piena, il premier segretario, che si sente messo sotto accusa più dal popolo degli assenti delusi che da una minoranza inconcludente, e reagisce come il Re Sole: le Pd c'est moi o come nel far-west: qui comando io. C'è rabbia, verso i capibastone del passato: «Quelli che mi accusano hanno distrutto l'Ulivo... Basta con questo atteggiamento tafazziano degli ultimi vent'anni; basta con chi racconta dei numeri falsi». Renzi ce l'ha con chi «se perde va via», come ha fatto Cofferati. «Così non si mettono in discussione le primarie, ma il partito». Invece la battaglia la si fa dentro il Pd, «come ha detto Cuperlo, che ringrazio».

Nella monarchia assoluta tratteggiata dal leader, però, visto che «al mondo non interessano le nostre discussioni», la lotta per il controllo della Ditta va fatta quotidianamente, in silenzio rispettoso, mangiando la polvere se è il caso (è quasi sempre il caso). Non certo come D'Alema, che oggi parla da uomo libero: non avendo più nulla da chiedere, non ha neppure nulla da perdere. Pericolo Pubblico numero uno, visto con gli occhi del giovanotto che lo rottamò (dopo aver camminato sulle sue gambe per raccattar voti a Firenze, beninteso). Per tutti gli altri, o troppo giovani per non sfruttare il ruolo di «oppositore del re» o, come Bersani, troppo perbene per non aiutare i tanti suoi ex sottopanza oggi in difficoltà, si apre una vita grama da Orfini.Le avvisaglie, ieri, quando fioccavano retromarce e appelli all'unità (Gotor, Errani), con Bersani a insistere sul «disagio», eppure «nessuno qui parla di uscire dal Pd». Finché però le intemerate del Segretario Arrogance provocavano una piccata replica dell'ex leader: «Non merita commenti. Renzi ricordi che noi l'Ulivo lo abbiamo fatto. Se lui è la vera sinistra, noi cosa siamo?». Domanda ormai assai poco retorica per una minoranza ridotta agli spiccioli, mentre Renzi volteggiava da una rapida immersione nell'agonizzante socialismo europeo a Parigi, alla visita di un'oretta, con Giachetti, a Pannella, le cui condizioni di salute destano più di qualche preoccupazione.

Per Renzi, un modo plastico per distinguere sinistra da sinistra. «Doveroso rendere omaggio a un grande del Paese, un punto di riferimento», diceva. Assodato che, come aveva proclamato Giachetti, «sarei un pazzo se dedicassi a D'Alema anche solo un minuto».

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