"Gambizzato e picchiato. È stato un avvertimento, so che c'è un mandante"

Christian Carlassere parla dopo l'aggressione in Sud Sudan: "Stavano eseguendo un ordine"

"Gambizzato e picchiato. È stato un avvertimento, so che c'è un mandante"

«È stato un avvertimento. Gli aggressori eseguivano l'ordine di un mandante, ma tornerò presto in Sud Sudan», dichiara Christian Carlassare, 43 anni, il più giovane vescovo missionario italiano, gambizzato domenica notte nella diocesi di Rumbek. Nell'intervista esclusiva al Giornale, dal letto d'ospedale a Nairobi, racconta come gli hanno sparato e il desiderio di parlare con il Papa.

Come sta?

«Sono stato trasportato a Nairobi e in nottata operato nuovamente per estrarre alcune pallottole dalle gambe. Ora sono tranquillo e confidente che recupererò presto».

Perché l'hanno gambizzata?

«Penso che sia un atto intimidatorio, un avvertimento. Gli aggressori non li ho mai visti prima. Erano due uomini sulla trentina. Sospetto che qualcuno abbia commissionato questo gesto».

Come le hanno sparato?

«Cercavano di scassinare la porta, ho sentito i rumori e mi sono alzato. Sono rimasto nella penombra in silenzio. Quando si sono resi conto che non sarebbero riusciti a forzare la porta, hanno cominciato a sparare alla serratura. Così ho capito che la faccenda era più seria di quanto pensassi, che non si trattava di normali ladri».

E poi cosa è accaduto?

«Quando ho chiesto aiuto hanno cominciato a colpire più intensamente la serratura. Cercavo di tenere in piedi la porta, ma dovevo stare di lato perché entravano i proiettili. Uno dei preti è uscito dalla sua stanza con grande coraggio. Abbiamo chiesto agli aggressori cosa volessero e per un attimo sono indietreggiati, ma non hanno risposto. Anzi, uno dei due ha caricato il kalashnikov».

E l'hanno gambizzata

«Nel giro di 40 secondi si sono diretti verso di me e uno di loro mi ha puntato l'arma contro. Ho notato, però, che mirava in basso, alle gambe. Poi ha sparato. Non voleva uccidermi, ma ferirmi».

Hanno detto qualcosa?

«Non hanno mai aperto bocca. Stavano eseguendo un ordine. Quando hanno cominciato a sparare sono indietreggiato verso la stanza cercando di proteggermi al buio, ma gli aggressori mi hanno inseguito per picchiarmi con il calcio del fucile. Poi hanno assestato l'ultimo colpo sulla nuca che mi ha fatto crollare».

Avrebbero potuto ucciderla?

«Certamente, ma non mi hanno dato il colpo di grazia e sono scappati. Era sicuramente un avvertimento».

È vero che ha perdonato i suo aggressori?

«Sì, li perdono perché non sapevano quello che stavano facendo. La violenza nella zona di Rumbek sembra la soluzione a tutti i problemi. La gente della diocesi vive ogni giorno questa situazione di sofferenza a causa della presenza di armi in mano ai civili che si scontrano con altri clan o dentro la stessa tribù. Il perdono è l'unico messaggio che può portare un po' di speranza».

Lei è stato missionario per anni con i Nuer, «nemici» tribali dei dinka della sua nuova diocesi. L'hanno gambizzata per questo?

«È una lettura possibile. Però il benvenuto dalla grande maggioranza delle persone e la mia propensione ad amare tutti indistintamente dalla loro tribù dimostra il contrario».

Ha la pelle bianca e da anni c'era un facente funzioni del vescovo locale (John Mathiang, arrestato ieri come sospetto). È un altro motivo?

«Anche questo elemento potrebbe avere giocato un ruolo, ma il modo in cui i preti diocesani mi hanno accolto è stato molto bello. E poi esisteva già una presenza importante di religiosi non locali».

Tornerà in Sud Sudan?

«Certo che tornerò. Quando sono stato colpito la gente fuori dall'ospedale diceva: Padre non abbandonarci, ritorna. Verrò consacrato vescovo il 23 maggio e conto di tornare per quell'occasione».

Il Papa prega per lei, ma le ha pure telefonato?

«Non ancora, ma aspetto una sua chiamata o di avere la possibilità di incontrarlo».

Non teme per la sua vita?

«La vita è un dono prezioso, che va coltivato e protetto.

L'altra notte ho visto la morte davanti agli occhi. Però mi spaventa di più la paura di vivere. Penso che sia importante vivere ciò che è santo, bello, e giusto fino in fondo. Non importa se la vita sia lunga, corta, ricca o povera, ma va vissuta con questi valori».

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