La crisi del modello Germania è messa ulteriormente a nudo dalle tensioni sui suoi titoli di Stato, simbolo della granitica solidità tedesca. Il Bund, da sempre assimilato a bene rifugio per eccellenza, una sorta di lingotto d'oro fra i titoli di Stato cui affidarsi nelle fasi di tensione sui mercati, ha visto il proprio rendimento volare sopra a quello dell'Irs (acronimo di Interest rate swap), un misuratore delle attività prive di rischio. È la prima volta che succede da quando c'è l'euro. Oltre a essere il riferimento per il calcolo dei tassi di interesse dei mutui a tasso fisso, l'Irs rappresenta il tasso swap usato da imprese e istituzioni finanziarie per proteggersi dalle fluttuazioni dei tassi. Anche in periodi di massima tensione, dalla grande crisi finanziaria del 2007-2008 alla crisi del debito all'inizio dello scorso decennio, passando per lo shock allo scoppio della pandemia covid, mai era successo che il Bund rendesse più dell'Irs proprio perché veniva considerato unanimemente emblema di solidità.
Per la prima volta Berlino si trova quindi ad affrontare venti contrari anche sui suoi bond. Si inizia così a parlare di «rischio Paese» anche per la Germania dopo che in passato tale rischio aveva messo in fibrillazione a più riprese Grecia, Italia, Spagna e quest'anno la Francia. Una situazione nuova con potenziali ripercussioni sull'intera Europa se gli investitori nel prossimo futuro si mostreranno scettici sulla capacità della prima economia europea di affrontare le delicate sfide strutturali.
A far vacillare più di una certezza è l'emergere di crepe nelle fondamenta su cui poggia il sistema tedesco. Crepe la cui chiusura non si intravede, anzi. Le industrie tradizionali del Paese, soprattutto quella automobilistica, si trovano ad affrontare enormi minacce alla loro competitività. In generale, la combinazione di debole crescita della produttività e forza lavoro che invecchia rischia di azzoppare l'economia negli anni a venire.
Anche se l'accorciamento del differenziale Bund-Irs andava avanti già da circa due mesi, la scintilla che ha portato il Bund a perdere il primato è stata la decisione del cancelliere Olaf Scholz di licenziare il ministro delle finanze Christian Lindner. Epilogo inevitabile a causa della difesa a spada tratta da parte di Lindner delle rigide regole di spesa e il suo no a deroghe al «freno al debito» previsto in Costituzione. Va sottolineato che si tratta di movimenti, al momento, non ampi e il Bund continua a presentare rendimenti più bassi di circa 75 punti base rispetto agli omologhi di Spagna e Francia e di circa 130 rispetto ai Btp italiani. Ma è la tendenza che preoccupa.
Con le elezioni anticipate attese tra gennaio e marzo, appaiono basse le probabilità che venga raggiunto un accordo sul Bilancio 2025 nel bel mezzo della campagna elettorale. Più probabile uno scenario in cui l'attuale governo utilizzi un bilancio preliminare basato sull'iniziale proposta. «Questa procedura è abbastanza standard durante gli anni elettorali spiegano gli esperti di Goldman Sachs - e comporterebbe una leggera contrazione fiscale nel primo semestre 2025». Il prossimo governo sarebbe poi chiamato ad approvare un bilancio supplementare nella seconda metà del prossimo anno. Goldman Sachs, che non si aspetta un'espansione fiscale troppo aggressiva dal prossimo esecutivo e stima che i conservatori arrivino a sostenere solo limitate misure fiscali aggiuntive rispetto al «freno» (che impone che il debito pubblico non salga più dello 0,35% del Pil ogni anno), vede il rischio concreto che la politica fiscale tedesca continui a rappresentare un ostacolo e non una sponda alla crescita economica del Paese.
La dissoluzione del governo Scholz si intreccia con l'esito delle elezioni statunitensi. Il ritorno di Trump va a incrementare non poco le pressioni su Berlino per allargare i cordoni della spesa pubblica in quanto la Germania è particolarmente esposta al rischio dazi.
Questo rende ancora più chiaro che la priorità del prossimo governo dovrà essere una rapida riforma del freno al debito, inutilmente restrittivo per una nazione che presenta un indebitamento pubblico tra i più bassi nel panorama mondiale (poco sopra la soglia del 60% rispetto al 122% degli Stati Uniti o al 255% del Giappone).
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