Ma è già allarme: oltre 600mila posti a rischio

Le case produttrici: un'accelerazione forzata senza una vera programmazione

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi
Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi

Fine corsa dei motori endotermici, quelli tradizionali a benzina e Diesel, entro il 2035 e stessa sorte per le alimentazioni analoghe per i furgoni, ma 5 anni più tardi. L'Italia si allinea alla proposta della Commissione Ue, di punto in bianco, senza averne discusso nell'immediato con i diretti interessati, la filiera automotive. Questi ultimi, spiazzati e sorpresi, dopo le tante rassicurazioni arrivate dal governo, restano in attesa di ulteriori precisazioni. Tra l'altro le associazioni di categoria Anfia (filiera italiana automotive), Unrae (costruttori esteri) e Federauto (concessionari) siedono al Tavolo Automotive da poco varato all'interno del Mise e creato proprio per affrontare nel modo migliore il tema della transizione energetica alla luce dell'accelerazione impressa dalla Commissione Ue (il piano «Fit for 55» che, di fatto, è una sentenza di condanna a morte dei motori tradizionali fissata al 2035).

Un'azione come quella avviata dal Cite, a questo punto, potrebbe rendere inutili iniziative come quella del Tavolo, e dare il via, al contrario, a un scontro tra le parti. Nella nota diffusa, il Cite parla di «neutralità tecnologica» e di «valorizzazione, non solo dei veicoli elettrici, ma anche delle potenzialità dell'idrogeno, riconoscendo anche il ruolo imprescindibile dei biocarburanti, in cui l'Italia sta costruendo una filiera domestica all'avanguardia».

Peccato che proprio sui biocarburanti ci sia la ferma opposizione delle potenti lobby green che puntano solo sull'elettrico, mentre per quanto concerne l'idrogeno, la tecnologia e i veicoli esistono già (inclusi i camion) e sono sulle strade, peccato che le infrastrutture sono quasi inesistenti.

Quella del progettare green è ovviamente un fine nobile, ma l'errore sta tutto nell'avere tanta fretta e guardare unilateralmente a tecnologie (l'elettrico) già ben presenti sul mercato, ma oggetto di listini bonus-dipendenti, lacune nella diffusione delle infrastrutture e delle reali automomie delle batterie.

Il settore automotive, dal canto suo, è tuttora alle prese con una miriade di problemi (pandemia, chip, disorientamento dei consumatori, colonnine lente e ancora poche, parco da rinnovare, zero incentivi) che alla fine dell'anno porteranno il conteggio delle vendite sotto quota 1,5 milioni di unità. Michele Crisci, presidente di Unrae (l'associazione della Case estere che operano in Italia), afferma che «come al solito si pongono degli obiettivi senza però spiegare come ci si arriverà».

Proprio nei giorni scorsi le stesse associazioni avevano messo per l'ennesima volta in guardia le istituzioni dal fatto che un'accelerazione forzata verso il tutto elettrico, in assenza di una programmazione, a esempio, sulle riconversioni produttive e la formazione, metterebbe a rischio 70mila posti nelle concessionarie (allarme lanciato da Federauto), 60mila nel mondo industriale e indotto (dato Fim-Cisl) e, a livello europeo, oltre 500mila occupati nella componentistica (Anfia). «È il suicidio dell'industria europea dei motori Diesel», il recente commento di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.

Carlos Tavares, ad di Stellantis, ha quindi parlato di «costi insostenibili per il settore» e che «a rischiare

di più è la forza lavoro, come paventato più volte dai sindacati europei». È lo stesso Tavares che alla sfida su elettrico e software ha deliberato per Stellantis investimenti, da qui al 2025, pari a 30 miliardi di euro.

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