È andato in scena ieri il penultimo atto di una dittatura cieca e sorda, quella bolivariana del Venezuela «guidata da una combriccola di delinquenti che sanno bene che, semmai fossero costretti a lasciare il potere, sarebbero immediatamente arrestati a causa delle tante denunce contro di loro per gravi violazioni dei diritti umani, tortura e crimini contro l'umanità», assicura un magistrato della Corte Suprema di Caracas che, non essendo d'accordo con il regime, ha chiesto asilo politico all'ambasciata cilena per evitare galera e torture. Poco prima, ieri all'alba, il presidente Nicolás Maduro aveva infatti dato ordine alla Guardia Nazionale Bolivariana di circondare la Procura Generale della Repubblica, assieme al Parlamento l'ultimo potere indipendente ancora non conquistato manu militari dagli sgherri maduristi. Obiettivo del dittatore venezuelano - che nonostante 148 morti e 632 prigionieri politici sulla coscienza in 125 giorni di proteste tanto piace ad alcuni residui bellici della sinistra italiota ed ai 5 stelle - impedire con la forza l'ingresso nella struttura pubblica a tutti i dipendenti, compresa Luisa Ortega Díaz, la procuratrice generale della che, pur essendo una chavista della prima ora, da quando si è opposta alla sostituzione del Parlamento democraticamente eletto nel 2015 con la Costituente comunista imposta da Maduro, è stata prima denigrata e ieri, percossa e poi rimossa in modo illegittimo dalla Corte Suprema presieduta dal pluriomicida Maikel Moreno.
«È come se Pablo Escobar fosse arrivato alla presidenza della Colombia negli anni Ottanta perché oggi la giunta che appoggia Maduro in Venezuela usa gli stessi metodi del cartello di Medellin», ha ribadito ieri il senatore repubblicano Marco Rubio, un figlio di cubani che fosse diventato lui, al posto di Trump, presidente degli Stati Uniti di certo avrebbe fatto di più di The Donald per il Venezuela. Dieci minuti dopo avere deposto con la forza militare la Ortega Diaz - che nelle prossime ore rischia di essere arrestata dal Sebin, i servizi segreti della dittatura che intanto hanno già «fatto sparire» la sua guardia del corpo più fidata - la Costituente comunista eletta con la mega frode del 30 luglio scorso e controllata al 100% dai maduristi ha messo al suo posto Tareck William Saab. Già pessimo «difensore del popolo» Big Jim com'è soprannominato Saab, accusato di coprire crimini atroci persino da suo figlio, è anch'egli a rischio arresto se crolla il regime.
Già perché affamare il proprio popolo e farlo morire senza muovere un dito - a Caracas oggi è introvabile l'aspirina e gli ospedali non hanno chemio e radioterapie ma neanche una zuppa da dare ai loro pazienti - rientra tra i delitti che non prescrivono mai di cui s'è macchiato Saab opponendosi all'apertura di corridoi umanitari. Anche perché, all'origine della fila di scheletrici zombie sovente malati di tumore che pullulano le vie di Caracas alla ricerca disperata di qualcosa da mangiare, c'è un sistema di cambio che consente ai criminali che oggi governano il paese più ricco di riserve petrolifere al mondo di intascarsi un dollaro in cambio di 10 bolivares (questo è il cambio fissato dalla dittatura per importare farmaci salvavita) per poi cambiarlo sul mercato nero a 15mila bolivares.
«Neanche il narcotraffico rende tanto» spiega il giornalista Nelson Bocaranda, una delle poche voci lucide rimaste ad analizzare il disastro del Venezuela, da ieri espulso anche dal Mercosur e che dovrebbe suggellarsi già prossima settimana con la chiusura, anche qui manu militari, di un Parlamento la cui unica colpa è di non essere controllato dalla dittatura
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