
Le 75 coltellate inferte da Filippo Turetta a Giulia Cecchettin? Non un atto di crudeltà, dettato dalla volontà di infierire sulla vittima, bensì la conseguenza della «inesperienza e della inabilità» dell'assassino. È uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d'assise di Venezia ha condannato all'ergastolo il giovane per l'omicidio della ex fidanzata dell'11 novembre 2023, escludendo l'aggravante della crudeltà e quella dello stalking.
Scrivono i giudici: «L'aver inferto settantacinque coltellate non si ritiene che sia stato, per Turetta, un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima: come si vede nella videoregistrazione dell'ultima fase dell'azione omicidiaria, l'imputato ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca». Ancora: «Non si ritiene che tale dinamica, certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell'imputato ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso: Turetta non aveva la competenza e l'esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia non c'era più». Lo stesso assassino «ha dichiarato di essersi fermato quando si è reso conto che aveva colpito l'occhio: mi ha fatto troppa impressione, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva», non sembra che «la coltellata sull'occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva».
La Corte nella sentenza di primo grado ha negato a Turetta le attenuanti generiche «alla luce della efferatezza dell'azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l'imputato non accettava l'autonomia delle anche più banali scelte di vita». Quello del giovane non è stato un gesto improvviso ma un preciso piano omicida, «che ha attuato pedissequamente passo dopo passo per quattro giorni fino all'efferata azione conclusiva». Per i giudici, Turetta «ha agito con spietata lucidità». Con «tenacia e lucidità manifestate fino a mezz'ora prima del suo arresto, quando ha provveduto a cancellare l'intero contenuto del suo telefono». Le motivazioni del verdetto del 3 dicembre sottolineano poi «l'assenza di qualsivoglia gesto riparativo da parte dell'imputato nei confronti dei congiunti della vittima».
Infine i motivi dell'esclusione dell'aggravante dello stalking: Giulia era «intimorita per lo stato di salute del Turetta, ma tale timore, che affondava le radici sul senso di colpa e sulla personalità generosa della giovane ragazza, non si è mai declinato in uno stato grave e perdurante di ansia». La vittima subiva le «condotte oggettivamente moleste, prepotenti e vessatorie del Turetta ma non aveva paura di lui: ed è proprio per questo motivo che era stata proprio lei a dare appuntamento all'ex fidanzato, proponendogli di accompagnarla a fare acquisti» poco prima che lui la uccidesse.
La ragazza, «pur avendo capito che Turetta era ossessionato da lei», era «del tutto inconsapevole della pericolosità dello stesso». Era invece consapevole «del carattere manipolatorio delle affermazioni autolesionistiche di costui e si è visto come ella non si fosse piegata a tali pretese: e proprio per questo è stata uccisa».
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