Giuseppi, aspirante leader dell'internazionale populista

Da Trump all'Ucraina, la strategia grillina

Giuseppi, aspirante leader dell'internazionale populista
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Ormai Giuseppe Conte con un drappello di grillini al seguito ripete un giorno sì e un altro pure che non vuole Matteo Renzi nel «campo largo». In realtà, a leggere in controluce questo «veto», si comprende che ha poco a che fare con l'antipatia dell'ex-premier grillino nei confronti dell'ex-premier del Pd, mentre ha molto a che vedere con qualcosa di più sostanzioso, cioè con quanto succederà negli Stati Uniti il 5 novembre: Conte, il Giuseppi di Donald Trump, spara contro Matteo Renzi che è di casa tra i democratici americani. Entrambi si stanno giocando l'intera posta sulle elezioni Usa. Lo si arguisce anche dal travaglio congetturale in cui si è tuffato il consigliere ombra del leader 5stelle nonché direttore dell'house-organ.

Negli ultimi giorni Travaglio si è lasciato andare ad una serie di affermazioni di un certo peso che sono il compendio della strategia di Giuseppi. Dice prendendo come riferimento del momento politico la guerra in Ucraina: «Su politica sociale e ancor più su quella estera, Mélenchon e le Pen sono molto meno distanti fra loro che da Macron». Ed ancora: «i poteri invisibili comandano da dietro le quinte mettendo in scena il teatrino destra-sinistra». Poi fa la storia di Conte fatto fuori, appunto, dai poteri «invisibili» omettendo che la prima vittima fu Silvio Berlusconi nel 2011 (ma a quel tempo Travaglio era con gli «invisibili») come premessa per dire che stessa sorte potrebbe capitare pure alla Meloni se decidesse di non assecondare la Nato sull'Ucraina perchè - altra perla - «gli invisibili» «in Italia sognano che Tajani, spinto dai Berlusconi, molli la Meloni e vada con il Pd».

A parte le tante menate questi pensieri rappresentano i prolegomeni della politica 5stelle nel caso andasse in scena l'avvento di Trump alla Casa Bianca: il tentativo di trovarsi una seconda «opzione», una politica alternativa, per contare di più nel «campo largo» o per immaginare uno «schema» diverso. Lo avevo presentato come un'ipotesi di fantapolitica in un articolo sul questo giornale, ma nel «mondo al contrario» di Donald Trump e dei suoi fans nostrani può succedere di tutto, anche un «rassemblement populista» nel nome della Pace e ostile all'Ucraina. In fondo ci vuole poco a sostituire l'assonanza tra Mélenchon e Le Pen, di cui parla Travaglio, con quella tra Conte e Salvini (basta pensare al comunicato del vertice di maggioranza della Lega che conteneva il «no» all'uso sul territorio russo delle armi italiane fornite all'Ucraina, concetto sparito poi nel comunicato ufficiale): se vincesse Trump i due potrebbero proporsi come i garanti della Meloni, per far dimenticare al nuovo inquilino dal pelo rosso della White House il «flirt» del nostro premier con Biden.

Ma a parte questa ipotesi di scuola quello che davvero importa a Conte è avere due politiche per avere più peso a sinistra e per non tagliarsi tutti i ponti a destra: una strategia che gli consenta un posizionamento centrale, lo stesso che permise a Giuseppi all'ombra di Trump nella scorsa legislatura di guidare due governi di segno opposto, uno gialloverde e un altro giallorosso. Ecco cosa nasconde il «no a Renzi» e il movimentismo di queste settimane dei filotrumpiani d'Italia. In fondo sarebbe un'opzione che consentirebbe a soggetti che sono elettoralmente in crisi di acquisire più peso nelle rispettive coalizioni avendo in mano un'ipotetica alternativa da utilizzare perlomeno come arma di pressione a destra come a sinistra: a destra per rintuzzare il dinamismo forzista; a sinistra per costringere il Pd a scendere a patti.

Naturalmente avrebbero bisogno nel quadro attuale non solo di Trump ma anche di un'interesse della Meloni che per ora non c'è, motivo per cui le lusinghe «travagliesche» verso la Premier da qui al 5 novembre sono destinate ad aumentare.

Se vincerà Donald si faranno più pressanti, se la spunterà Kamala i filotrumpiani torneranno nei ranghi e si scioglieranno i veti grillini nel «campo largo». In questa luce ha un senso anche il bivio che Renzi ha posto al Pd: «deve decidere se stare con Trump o con la Harris».

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