Giustizia allo sbando, la Lega avverte "Una figura garantista per il Csm"

Il nuovo capo dello Stato guiderà il Consiglio e dovrà affrontare la riforma. Cartabia è in stand by. Palamara ricorre alla Cedu

Giustizia allo sbando, la Lega avverte "Una figura garantista per il Csm"

Il nuovo schiaffo del Consiglio di Stato al Csm, il secondo dopo l'annullamento della nomina del procuratore di Roma, arriva a pochi giorni dall'elezione per il Colle e nella pressoché totale paralisi della riforma dello stesso Consiglio superiore, annunciata prima di Natale e finita nel pantano della partita sul Quirinale. Troppo fragili gli equilibri tra i partiti, troppo divisiva la modifica del meccanismo di elezione del Csm che doveva vedere la luce settimane fa in Consiglio dei ministri. Firmata da un ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che è anche uno dei nomi in campo per la successione a Mario Draghi nel caso di un eventuale trasloco del premier al Colle.

L'azzeramento da parte dei giudici amministrativi delle nomine dei vertici della Corte di Cassazione - il primo presidente Pietro Curzio e il presidente aggiunto Margherita Cassano, che il Consiglio superiore aveva approvato quasi all'unanimità con la sola astensione del laico Stefano Cavanna - irrompe sullo scacchiere dell'elezione al Quirinale: «Il prossimo presidente della Repubblica, che ricopre anche la carica di presidente del Csm, dovrà avere ben chiara la necessità di una riorganizzazione della giustizia a partire da una profonda e radicale riforma del Csm: abbiamo vissuto e stiamo vivendo scandali inaccettabili. Per il Quirinale serve un profilo liberale e garantista», fanno trapelare fonti della Lega. Le stesse fanno anche notare che «aspettiamo da troppo tempo la proposta del ministro Cartabia per mettere ordine al Csm». Già, la riforma pensata per archiviare la stagione degli scandali che nel maggio 2019 travolsero il Csm con l'inchiesta Palamara, è attesa da mesi, annunciata come imminente e invece puntualmente rimandata. Dopo che è saltato anche il passaggio in Consiglio dei ministri promesso prima di Natale, Cartabia potrebbe presentare i suoi emendamenti - aperti alle modifiche dei partiti - direttamente alla Camera. Il sentiero politico però è stretto. Quello imboccato da Cartabia per superare le degenerazioni del correntismo all'interno del Consiglio non va nella direzione del sorteggio temperato, la soluzione indicata da più parti come unico rimedio alle patologie sottese alle nomine. L'impianto della riforma si baserebbe invece su un maggioritario a collegi binominali, con l'aumento dei consiglieri togati da 16 a 20. Un sistema che per i togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita sarebbe «il trionfo del correntismo e del bipolarismo che provocherà ulteriori spaccature e conflitti». Anche per i magistrati di Articolo 101, il gruppo nato in antitesi alle correnti della magistratura, «così è improbabile che si possa ottenere l'elezione di candidati non designati da correnti e dunque fuori da certe dinamiche».

I deputati di Forza Italia, che chiedono il sorteggio, premono «per una riforma radicale e profonda e non soluzioni di compromesso». Chiara la portata divisiva del provvedimento. Tanto che nulla è in programma prima dell'elezione del presidente della Repubblica. Del resto la Guardasigilli è un nome pesante in un'eventuale staffetta a Palazzo Chigi. E già la «sua» riforma del processo penale con cui era stata superata quella del predecessore Alfonso Bonafede aveva spaccato la maggioranza. Non è il momento di scossoni che potrebbero riflettersi sul consenso di quella che viene considerata da tutti una riserva della Repubblica. Intanto però il tempo scorre: il Csm che «scade» a luglio e ancora non ha una riforma condivisa con cui superare gli scandali. Ieri i legali di Palamara, radiato dalla magistratura dal Csm e sotto processo a Perugia, hanno annunciato di aver presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Nella decisione sulla radiazione, lamentano, il Consiglio non sarebbe stato imparziale a causa della «mancata astensione» di Piercamillo Davigo, che è stato «giudice disciplinare pur avendo avuto conoscenza dei fatti oggetto di incolpazione al di fuori del procedimento disciplinare».

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