Con un «obbedisco!» in stile garibaldino, Google s'allinea agli ordini di Donald Trump e taglia di fatto i rapporti con Huawei. Al colosso cinese saranno impediti gli aggiornamenti di Android, il sistema operativo utilizzato sui propri smartphone. È l'ennesimo effetto collaterale della trade war che infiamma i rapporti tra Washington e Pechino, in un crescendo di ritorsioni reciproche sotto forma di dazi. Ma la contesa a colpi di tariffe punitive, in punta di diritto internazionale e nella logica del tit for tat (il cosiddetto pan per focaccia), si è ormai da tempo spostata dal tradizionale terreno di scontro. Al Dragone che vende a mani basse i T-Bond a stelle e strisce come atto di rappresaglia, l'Orso americano risponde facendo di Huawei il bersaglio preferito. Considerata il cavallo di Troia usato dal governo centrale cinese per lo spionaggio industriale, la compagnia fondata da Ren Zhengfei è finita la scorsa settimana nella lista nera commerciale Usa. Le corporation Usa sono così tenute ad ottemperare al divieto di avere relazioni di affari con il gruppo leader nella tecnologia 5G. Come appunto ha fatto Google e come pare intendano fare Intel, Qualcomm, Xilinx e Broadcom, compatte nella decisione di smettere di vendere chip a Huawei.
In ballo, secondo la Casa Bianca c'è la sicurezza nazionale. Ma anche il business. Google rischia di dover rinunciare a una bella fetta di ricavi, visto che sono ben 200 milioni i cellulari Huawei che usano Android, nonostante Trump non sia proprio un amico. Nell'agosto scorso, un tweet velenoso di The Donald aveva accusato il colosso di Mountain View di essere «truccato» perché mostra «solo» gli articoli dei «Fake New Media». E poi ci sono altri danni collaterali. Tipo quelli sui mercati finanziari, dove l'umore di Wall Street (-1,2% il Nasdaq a un'ora dalla chiusura) non è dei migliori, poichè le possibilità di trovare un accordo sul commercio tra Usa e Cina si stanno riducendo al lumicino, e dove Apple ha vissuto un lunedì amaro (-3% i titoli). Colpa del boicottaggio degli iPhone messo in atto da rivenditori cinesi e indiani, e subito sostenuto da ex fan della Mela Morsicata pronti a passare al nemico Huawei.
È una valanga in movimento dalle proporzioni incalcolabili. Il presidente cinese Xi Jinping ha visitato ieri a Jiangxi il gruppo JL Mag Rare-Earth, un produttore di terre rare. Il timore degli osservatori è che dal governo di Pechino possa presto partire un ordine che vieta l'esportazione verso gli Usa di questi componenti minerali, insostituibili per realizzare l'alta tecnologia dei telefonini.
Trump tira però dritto. E usa Huawei per mettere spalle al muro Pechino, costringendola a un'intesa in tempi rapidi. Il tycoon, d'altra parte, ha fretta: il mese prossimo dovrebbe annunciare formalmente la propria candidatura per un secondo mandato. Una vittoria sul fronte della trade war alzerebbe le quotazioni dell'inquilino della Casa Bianca, che al momento i sondaggi danno in svantaggio rispetto al rivale Joe Biden. Risolte le tensioni commerciali, e quelle che di rimando potrebbero derivare da bond, titoli azionari e dollaro, l'economia Usa non avrebbe più ostacoli davanti per crescere del 3%. Inoltre, con un'inflazione bassa, potrebbe essere intensificato il pressing sulla Federal Reserve con la richiesta di due tagli dei tassi nel 2020.
Un'altra polizza per ottenere la sicura rielezione il prossimo novembre. Washingon ha però un problema: per cultura, la Cina non ha fretta di concludere. E per ogni giorno che passa senza pace commerciale, Trump rischia di perdere la poltrona.
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