Il governo non arretra "L'uscita inizia a marzo". Farage attacca i giudici

Presto una legge per attivare l'iter di distacco dall'Ue. Ukip schierato contro l'establishment

Il governo non arretra "L'uscita inizia a marzo". Farage attacca i giudici

All'indomani del pronunciamento della Consulta che ha sancito l'obbligatorietà di un passaggio in Parlamento prima di avviare le procedure per la Brexit, il governo e le forze politiche britanniche sono chiamate a fronteggiare un importante cambiamento di scenario. E non meraviglia che la premier Theresa May abbia espresso a tale riguardo il suo «disappunto». Dopodiché, il governo ha reagito chiarendo la propria intenzione di voler mantenere piani e tempistiche, che prevedono l'attivazione della Brexit entro la fine di marzo.

Il messaggio che la May vuol trasmettere è semplice: ci adegueremo alla decisione del tribunale supremo, ma politicamente tutto rimarrà come prima. «Il popolo britannico ha votato per uscire dall'Ue - ha detto il portavoce dell'esecutivo - e il governo rispetterà questo verdetto, attivando l'articolo 50 come era pianificato, prima della fine di marzo. La sentenza di oggi non cambia nulla».

Non sono solo parole. David Davis, ministro incaricato dell'implementazione della Brexit, ha già annunciato che «nei prossimi giorni» verrà presentato un disegno di legge «inequivocabile» che permetterà al governo «di agire rapidamente» entro le scadenze previste.

Affermazioni che danno per scontato che non siano previste sorprese dal voto parlamentare, anche se è noto che esistono voci dissenzienti nel partito conservatore che ha la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni. Ma anche che non è intenzione del governo di consentire alle pretese dei Parlamenti di devoluzione (quello scozzese in prima fila) di condizionare il calendario della Brexit: la leader dello Scottish National Party (Snp) e primo ministro di Edimburgo, Nicola Sturgeon, ha già dichiarato che - pur rispettando il valore legale della sentenza della Consulta che esenta il Parlamento di Londra dal consultare i Parlamenti locali -, Theresa May avrebbe un dovere politico di sentire le assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord sul tema dell'uscita dall'Unione Europea, alla quale notoriamente l'Snp si oppone.

Ma l'aspetto politico forse più rilevante consiste nelle frecce che il pronunciamento della Consulta sul processo legale della Brexit fornisce all'arco delle forze populiste, in Gran Bretagna e non solo. È infatti gioco facile sostenere che si sia trattato di un intervento di sapore politico, ovvero di un'entrata a gamba tesa del potere giudiziario ai danni della sovranità popolare che con il referendum dello scorso 23 giugno si è espressa - sia pure con una maggioranza ristretta - per l'uscita del Regno Unito dall'Ue. Tesi discutibile, essendo i supremi giudici britannici stati chiamati a pronunciarsi appunto sugli aspetti legali della Brexit e non su quelli politici.

Nigel Farage, già leader del partito indipendentista Ukip, ha parlato di «decisione attesa, mirata da parte dell'establishment a cercare di ritardare o affossare la Brexit». Secondo Farage, che dopo le sue dimissioni dalla guida dell'Ukip «per raggiunti obiettivi politici» è stato ingaggiato come analista politico dalla televisione filoconservatrice americana Fox News, questo traguardo non sarà conseguito: «Accadrà comunque, soltanto un po' più lentamente di quanto avrei desiderato».

Intanto, anche da Bruxelles giungono voci contro un distacco «forte» del Regno Unito dall'Ue.

Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, ha detto che «sarebbe un male per l'Europa, ma anche un male per l'Inghilterra e per il Regno Unito, diventare una sorta di paradiso fiscale al largo della costa europea. Nel clima attuale, in cui stiamo lavorando a stretto contatto con gli inglesi per combattere l'evasione fiscale, sarebbe un folle passo indietro».

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