Il grande caos di Suez. Merci e petrolio bloccati. A rischio l'export italiano

Maxi ingorgo: alcune navi tentano la rotta dal Capo di Buona Speranza. Allarme pirati

Il grande caos di Suez. Merci e petrolio bloccati. A rischio l'export italiano

Beirut - «Bloccata come una roccia». Sono le parole sintetiche ma efficaci utilizzate dal Ceo di una compagnia di navigazione per descrivere lo stato della Ever Given, la portacontainer che da martedì ostruisce il Canale di Suez, incastrata di traverso tra le sue due sponde. L'incidente sta causando un «ingorgo» gigantesco nel Mar Rosso, come ha confermato un marinaio mercantile su una nave vicina. Dozzine di mercantili carichi di petrolio e merci destinate ai porti di tutto il mondo sono bloccate nel Canale e ogni ora che passa il costo economico cresce. Ma arrivano anche parole di incoraggiamento. Joe Reynolds, ingegnere capo della Maersk Ohio, ha espresso simpatia per i 25 membri dell'equipaggio indiano dell'Ever Given. «Come marinai, ci lamentiamo molto delle cose. Ma capiamo anche quando altri marinai sono in difficoltà o stanno lavorando duramente giorno e notte per cercare di risolvere un problema. Siamo stati tutti in una situazione del genere», ha raccontato.

I proprietari della nave sperano di farla galleggiare nuovamente entro domani notte, ora del Giappone, metà giornata in Italia. Ma gli esperti hanno detto che potrebbero essere necessarie anche settimane. Ora circa 10 rimorchiatori e due navi draganti stanno lavorando per riportare a galla il cargo. Aiutano anche scavatori e altri macchinari che operano sulle rive. Se questa attrezzatura non fosse sufficiente, le squadre di salvataggio avvieranno l'«alleggerimento» della nave, trasferendo il suo carico su un'altra nave o sulla riva del canale. Ciò comporterebbe l'introduzione di altri macchinari inclusa una gru che dovrebbe allungarsi per più di 60 metri di altezza. Anche se il presidente dell'Autorità del Canale di Suez, Osama Rabie, ha precisato che i lavori per rimuovere la sabbia dalla prua della nave sono stati completati per l'87 per cento e sono stati rimossi circa 17 mila metri cubi di sabbia.

Ieri sera erano circa 200 le navi che stanno aspettando che si liberi il passaggio. Petroliere, mercantili e portacontainer cariche di componentistica per automobili e beni di consumo come vino, olio e cereali. Tra le aziende italiane colpite dall'incidente a Suez c'è Ducati, che ha già fatto sapere che alcuni prodotti diretti in Asia non saranno consegnati in tempo. Problemi anche per Heineken. A rischio anche le esportazioni made in Italy in Asia: dal vino all'olio extravergine. Non è la prima volta che il canale, aperto nel 1869, viene chiuso. Dovette chiudere tra il 1956 e il 1957 a causa della crisi di Suez, quando Francia e Gran Bretagna cercarono di prenderne il controllo dopo che Nasser l'aveva nazionalizzato. Chiuse di nuovo nel 1967, quando Israele occupò la penisola del Sinai, e non riaprì fino al 1975. Ma la chiusura ora potrebbe avere un impatto molto più dirompente perché il livello degli scambi tra Europa e Asia è cresciuto notevolmente negli ultimi decenni.

Il blocco spinge a pensare anche «a rotte alternative, come quella del Mare del Nord», secondo il diplomatico russo, Nikolai Korchunov. Diverse navi, sono state già dirottate verso un'altra via - quella africana - attraverso il Capo di Buona Speranza. La storia però potrebbe avere dei risvolti ancora più avventurosi.

Un portavoce della Quinta Flotta della Marina degli Stati Uniti ha riferito al Financial Times che queste rotte hanno «una nota storia di pirateria». Il pericolo esiste infatti soprattutto nell'avvicinarsi alle coste dell'Africa orientale. Sarebbe un perfetto finale da romanzo di una vicenda che ha già dell'incredibile.

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