Il grande veto di Mattarella: ecco perché non vuole Salvini

Per il Colle il leghista è troppo vicino a Putin e troppo poco «atlantico». Il dubbio di Renzi: allora perché non lo brucia?

Il grande veto di Mattarella: ecco perché non vuole Salvini

A neddoto della visita di qualche anno fa a Belgrado del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quel giorno, insolitamente, il consigliere militare del capo dello Stato, il generale di squadra aerea Roberto Corsini, non si presentò in uniforme, ma in abiti civili. E a chi gli chiedeva il perché, rispondeva tra il serio e il faceto: «Altrimenti mi riconoscono. Io ho partecipato ai bombardamenti contro i serbi in Kossovo, nell'ambito dell'Allied Force della Nato». All'epoca del conflitto nei Balcani, Sergio Mattarella era vicepremier nel governo di Massimo D'Alema.

Tutto questo per rimarcare quanto il presidente della Repubblica tenga alle alleanze internazionali, alla Nato, ai rapporti con Washington. E, contemporaneamente, quanto non abbia potuto gradire certe esternazioni di Salvini sull'intervento Usa in Siria, troppo inclini ad assecondare le tesi di Vladimir Putin. Un atteggiamento che ha alimentato fino ad ora la diffidenza del capo dello Stato sull'ipotesi di un incarico a Salvini per la formazione del governo, come leader della coalizione vincente alle ultime elezioni.

Se c'è un filo conduttore nella sceneggiatura del Quirinale di questi sessanta giorni di trattativa, infatti, è stato proprio quello di evitare, che si concretizzasse questa possibilità. Complice anche l'interessato: «Non voglio farmi bruciare», diceva. Ora, però, sull'onda delle vittorie nelle regionali del Molise e del Friuli, Salvini ha cambiato atteggiamento: è lui stesso a chiedere l'incarico. Mentre, a quanto pare, il presidente della Repubblica non ha mutato il suo: lassù sul Colle dicono che, a questo punto, i nomi di Salvini e Di Maio già sono stati superati.

Ma allora perché il leader della Lega ha fatto questa mossa? La nuova strategia Salvini l'ha maturata girando in macchina per il Friuli, prima del voto di domenica scorsa. Chi ha viaggiato con lui racconta che non ne potesse più della volubilità grillina, delle prese di posizione del Cav, delle alchimie del Quirinale per mettere in piedi o un governo Pd-5stelle, o un governo del presidente: «Basta con il tatticismo, con le cose dette e non dette! Ora gioco a modo mio». Tempo due giorni, sotto gli auspici della vittoria della Lega in Friuli, l'operazione è partita. Proprio alla vigilia di una direzione del Pd che, i renziani ne sono sicuri, approverà un documento per dire no sia ad un governo Salvini, sia ad un governo Di Maio, ma che, in termini concreti, porrà fine alla trattativa tra Pd-5stelle, quella che nei calcoli del Colle, se fosse andata in porto, avrebbe risolto alla radice la questione del leader leghista. Invece, è probabile, che venerdi il «problema» del pre-incarico a Salvini sarà sulla scrivania dello studio alla vetrata al Quirinale, anche se il capo dello Stato lo scanserà, visto che non ha nessuna voglia di tornarci su. Addirittura Ignazio La Russa ha suggerito al principale consigliere di Salvini, Giancarlo Giorgetti, di chiedere al Quirinale «l'incarico pieno». «Ma guarda che anche se lo chiede - è stata la risposta della testa più lucida del Carroccio - non glielo dà». «Sì - è stata la replica di La Russa - ma almeno gli darà il pre-incarico, altrimenti non gli darà neppure quello». E poi, commentando con Giorgia Meloni le ultime battute di questa estenuante trattativa, ha aggiunto: «Questi sono ragazzi. Se la fanno sotto. Matteo, anche se tardi, si è convinto che deve provarci, che deve andare a vedere. E ha fatto bene a buttarsi senza rete, perché di una cosa sono sicuro: non ha nessun accordo con i grillini».

Dopo la sortita del leader della Lega, infatti, ieri un interrogativo ha tenuto banco nel mondo politico e non: Salvini sta giocando d'azzardo, o ha qualcosa in mano? Ieri sull'aereo Milano-Roma il numero uno di Mediaset, Fedele Confalonieri, e Mariastella Gelmini, hanno posto le stesse domande anche al piddino Emanuele Fiano: «Perché Salvini ha chiesto l'incarico? Perché vuole andare a sbattere?». Ricevendo dal deputato del Pd una risposta ovvia: «Che ne so?». Un rebus che secondo il ministro Dario Franceschini, ha una risposta alquanto banale: «Non siamo più nella fase della politica riflessiva, qui ognuno spara la sua».

Se si analizza, però, con più attenzione una sua logica questa mossa ce l'ha. Intanto mettendo il suo nome sul tavolo, il leader della Lega potrà dire di aver fatto di tutto per dare un governo al Paese e per evitare le elezioni, a differenza del suo alleato-antagonista Di Maio. Poi, crea un imbarazzo al Colle, che al di là delle ragioni addotte (la principale è che un governo del genere, con la chiusura di Salvini al Pd, non avrebbe i numeri in Parlamento), si assume la responsabilità di non aver dato una chance alla coalizione di centrodestra, vincente alle elezioni. Uno schema che ha lasciato perplessi anche gli avversari di Salvini: «Non capisco perché il presidente - si è chiesto più di una volta in queste settimane Matteo Renzi, che avrebbe avuto tanta voglia di bruciare il leader della Lega non abbia fatto questo passaggio?». In terzo luogo, con questa «operazione» Salvini tenta di sbarrare la strada al governo di scopo o istituzionale per fare le riforme, che è il punto di approdo delle speranze del Quirinale: una maggioranza trasversale che abbia un «vestito istituzionale», che metta insieme Pd, 5stelle, e, magari, sia aperta anche a Forza Italia. Già, girano i nomi dei possibili premier: dal presidente della Consulta, al professore Sabino Cassese, che ha avuto tra i suoi collaboratori non solo il professor Della Cananea, testa d'uovo dei grillini, ma anche Giulio Napolitano e Bernardo Mattarella, figli di due presidenti.

Proprio per evitare un epilogo così, per lui indigesto, il leader della Lega, spendendo il suo nome, potrebbe riportare il pallino di una possibile premiership sul versante del centrodestra: il Quirinale - nella sua testa - potrebbe dire di no a lui, ma avrebbe problemi a dire no anche a qualcun altro. «Guardate - è il ragionamento di Giammarco Centinaio, capogruppo dei senatori leghisti - che a noi le elezioni subito non convincono. E, diciamoci la verità, in queste condizioni, non credo che a Salvini interessi tanto fare il premier. Io terrei bene a mente il nome di Giorgetti». Proprio Giorgetti, il numero due della Lega, che non ha rifiutato l'idea del «governo di scopo»: «Io - diceva ieri il piddino David Ermini - non avrei problemi a votarlo o ad astenermi». Del resto i veti dei dem riguardano solo Salvini e Di Maio.

E, ancora, se magari il Colle dicesse pure un secondo no al centrodestra, difficilmente non potrebbe prendere in considerazione per un governo istituzionale il nome del presidente del Senato, Casellati, che lascerebbe lo scranno più alto di Palazzo

Madama a un leghista: la seconda carica dello Stato, in un modo o nell'altro, ha voce in capitolo nello scioglimento delle Camere. Una garanzia per il leader della Lega. Appunto, la partita a scacchi con il Quirinale continua.

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