Erdogan festeggia, Putin frena: l'accordo sul grano ufficialmente raggiunto tra Turchia, Russia e Ucraina ha molti punti interrogativi che, inevitabilmente, ne condizioneranno l'esito. Da un lato Ankara rivendica a sé il merito di essere soggetto terzo e mediatore che ha sbloccato la crisi del grano nel Mar Nero, circostanza che avrebbe fatto guadagnare alla Turchia i galloni di perno della Nato in quel quadrante. Dall'altro Mosca non manca di ricordare che tutto potrebbe fallire se non verranno presto rimossi gli ostacoli alle esportazioni agricole russe.
Ieri a Istanbul ufficiali militari dei tre paesi, oltre ai membri delle delegazioni delle Nazioni Unite, hanno «tagliato il nastro» del centro di coordinamento congiunto (Jcc) che supervisionerà l'accordo mediato dalle Nazioni Unite. Le esportazioni di grano ucraine nel Mar Nero rappresentano un elemento geopolitico preciso, che spazia anche fino al Nordafrica e a quei paesi la cui stabilità sociale dipende, in gran parte, dall'esistenza o meno della cosiddetta democrazia del pane. Anche per questa ragione, i players coinvolti usano il grano come un clava per orientare interessi e alleanze.
«Il dovere del centro è quello di fornire un trasporto marittimo sicuro di grano e prodotti alimentari simili da esportare dall'Ucraina», ha detto il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, inaugurando il centro presso la National Defense University di Istanbul. Il piano toccherà anche la programmazione delle navi lungo la rotta, che verrà monitorata dal un pool di lavoro composto da 20 esperti provenienti da Ucraina, Russia, Turchia e Onu, che lavoreranno in sinergia. «Il personale che lavora in questo centro è consapevole che gli occhi del mondo sono puntati su di loro», ha garantito Akar, che sullo sminamento dei porti ucraini assicura: se ce n'è bisogno, le parti agiranno di conseguenza, per poi certificare che «in questa fase, non c'è bisogno di sminamento».
Raddoppia la dose di entusiasmo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, secondo cui se «riusciremo a risolvere la crisi del grano, allora si aprirà una strada per il cessate il fuoco, abbiamo assistito a un grande passo in avanti». Pollice in su anche dall'Onu che, per bocca del suo uomo presente alla firma, Frederick Kenney, si è detta grata al governo della Turchia per avere istituito «il centro in tempi molto rapidi, è molto incoraggiante vedere tutte le parti rappresentate qui a Istanbul per l'inizio dei lavori del centro di coordinamento». Sotto la lente d'ingrandimento internazionale, dunque, Odessa, Chornomorsk e Pivdenny, i tre porti da cui Kiev conferma la ripresa di arrivi e partenze di navi, che saranno organizzate in una sorta di una carovana che accompagnerà la capofila.
Tutto bene dunque? Niente affatto, stando alle parole del viceministro degli Esteri russo Andrei Rudenko, l'accordo potrebbe fallire d'emblée se gli ostacoli alle esportazioni agricole russe non saranno eliminati, di fatto chiamando in causa Usa e Ue.
Un annuncio che segue il vertice tra il presidente turco e il suo omologo russo Vladimir Putin a Teheran. I due si incontreranno nuovamente tra pochi giorni, a Sochi, il 5 agosto proprio per rafforzare l'idea di un legame solido e progettuale. Ma Ankara «usa» il grano anche per ampliare la propria sfera di influenze energetiche nell'Egeo e più in generale nel Mediterraneo: il prossimo 9 agosto la nave di perforazione turca Abdul Hamit Khan salperà dal porto di Mersin, come confermato dal ministro dell'Energia turco, Fatih Donmez, per trivellare «all'interno delle aree di responsabilità marittime turche».
Un attimo dopo, l'Ambasciatore russo ad Atene ha annunciato: dalla fine di febbraio le relazioni bilaterali con la Grecia sono state completamente distrutte, non esistono più, proprio mentre il governo ellenico apre la strada all'acquisto degli F35.
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